
Kraftwerk | Ralf und Florian (1973)
Uno degli album dell'epoca d'oro dei Krafwerk, prima che gli androidi Ralf e Florian si dedicassero ad un tecno-pop segnato da un lessico frivolo da corso accelerato di elettronica.
La più redditizia formazione del Krautrock furono sicuramente i Kraftwerk, sintetica creatura dei due “music workers” Ralf Hutter e Florian Schneider, il cui primo estemporaneo progetto furono gli Organisation ed il loro dimenticatissimo LP (Tone Float, RCA, 1970). Dopo qualche sventurata esibizione, il duo decise di cambiare registro ed iniziare ad allestire i propri studi di registrazione privati, i Kling Klang di Dusseldorf: l’idea di fondo era quella di rivisitare e commercializzare gli insegnamenti di Karlheinz Stockhausen, applicandoli alla musica rock e all’elettronica e così, dopo una variazione di sigla che suona come un manifesto programmatico (Kraftwerk = centrale elettrica), alla fine del 1970 Ralf e Florian, con l’aiuto del percussionista Klaus Dinger, erano già al lavoro per il primo LP omonimo, un album di strumenti acustici filtrati elettronicamente che, nel suo dilettantismo, riuscì comunque ad entrare nella top 10 tedesca. Con l’uscita temporanea di Ralf Hutter dalla band, Schneider provò in tutti i modi a tenere in corsa i Kraftwerk tramite l’ausilio di Klaus Dinger e Micheal Rother, iniziando con loro a lavorare al secondo album: con il ritorno della sua metà artistica, questi ultimi vennero però allontanati dal progetto ed andarono a formare i secessionisti Neu!, mentre Ralf e Florian proseguirono la loro storia discografica nella classifica formazione a due, con solo qualche ospite occasionale come ausiliario esterno. Alla fine del 1971, Krafwerk 2 entrò a sorpresa ancora nelle classifiche tedesche, nonostante non avesse l’ “outfit” di un disco da grande pubblico, ma fu con Ralf und Florian che la klingklangmusik dei Kraftwerk trovò la propria direzione in un artificiale tecno-pop di grande presa commerciale, abbandonando le sperimentali improvvisazioni del recente passato.

Ralf Hütter e Florian Schneider
Nel 1973, Florian Schneider decise infatti che era venuta l’ora di cambiare ancora le carte in tavola, mettendo l’accento sulle percussioni elettroniche e sulla ricerca di un nuovo ordine stilistico. Ralf und Florian segnò così una svolta nella carriera della band: la loro musica ripetitiva, fatta di manipolazioni sonore scandite dal flauto e dalle parti di organo, inizia a prendere la forma di un blando tecno-pop, nonostante le registrazioni si sforzarono di portare alla ribalta il talento di Schneider e Hutter come musicisti. Risale al 1974 la creazione ufficiale dei Kling Klang: un piccolo laboratorio interamente dedicato alla ricerca, con investimenti in nuovi sintetizzatori e nell’elettronica piú avanzata.
La foto di copertina dell’edizione originale mostra la genesi dell’androgina immagine proposta nel futuro dai Kraftwerk: Ralf porta ancora i capelli lunghi fino alle spalle e la riga laterale, mentre Florian sorride sornione con il suo elegante completo scuro, in una posa che pare quasi quella di una vecchia coppia sposata (per citare la calzante definizione del vecchio compagno Eberhard Kranemann!). Uscito nell’ottobre del 1973, l’edizione originale vede invece sul retro di copertina il cibernetico duo all’interno dei Kling-Klang, nonostante l’album fosse stato registrato con Conny Plank negli studi di Monaco, Colonia e Dusseldorf, ma i due “music workers”, con l’aiuto del grafico Emil Schult , volevano così rafforzare il concetto di “self-made men“.
La direzione del tecnopop è annunciata anche dai titoli dei brani: Elektrisches Roulette è una propulsiva composizione di pop ed elettronica che lancia questa visione futuristica della “robotizzazione” del genere umano, con il motivo del flauto di Florian assoluto protagonista, prima della detonazione percussiva finale. All’opposto della medaglia, la pastorale Tongebirge offre uno scorcio di vita più rasserenante, in netto contrasto con la visione freddamente offerta dal brano d’apertura.
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Kristallo è una composizione dinamica scandita dai ritmi funky del basso (in realtà, creati sul VCS3 con l’aiuto del vocoder) e dalle melodie fumanti del sintetizzatore, assemblando così un battito elettronico privo di forma, spesso fuori tempo. Sopra a tutto questo, c’è una linea più casuale della tastiera, quasi a mano libera, che spesso sembra dettare un tempo diverso ed antitetico, a tratti pure fastidioso per l’orecchio. La successiva Heimatklänge si apre invece con le onde sonore del pianoforte, con lo scopo di essere un rito di passaggio prima degli ultimi due (migliori) brani, prefigurando l’ambient di Brian Eno: la strumentazione comincia a mostrare un uso più evidente di sintetizzatori, ma la maggior parte delle parti melodiche vengono tuttavia eseguite sull’organo, con il flauto che è ancora dominante.
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La band era ancora senza un batterista, e diversi brani come Tanzmusik fanno perciò uso di un sintetizzatore prestabilito come drum-machine, quasi a progressione algebrica, rappresentando l’aspetto clinicamente pop della band ed anticipando quella che sarà la musica techno; tra i cori fugaci e le sintetiche percussioni di Florian si coglie il senso robotico ed estatico dei futuri Kraftwerk, anche se manca l’elegante malinconia che ha dato poi peso alle loro future composizioni.
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Nei 14 faraonici minuti di Ananas Symphonie il paesaggio sonoro viene fortemente sconquassato dalle scosse telluriche dell’elettronica, muovendosi però paradossalmente attraverso vari passaggi morbidi, comprendenti diverse manipolazioni che rendono rarefatta l’atmosfera. Si tratta di un poema sinfonico sorprendentemente al passo con le altre tendenze musicali tedesche del momento, dove i Kraftwerk utilizzarono per la prima volta in assoluto nella loro carriera il vocoder, un suono che sarebbe poi diventato il loro marchio di fabbrica. Dunque, una suite in tre parti con impalpabili chitarre, fasce sonore dronizzate e glaciali sintetizzatori: a poco a poco la composizione si affievolisce, concludendo quello che è forse il più curioso album della discografia dei Kraftwerk.
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In definitiva, Ralf und Florian può apparire un lavoro un po’ datato, ma sicuramente pionieristico: si tratta di un album di passaggio, l’anello mancante tra il bituminoso tecno-pop di Autobahn e le sperimentazioni primitive di Kraftwerk 2.