
King Crimson | Discipline (1981)
La rinascita del Re Cremisi, il cui regno seppe resistere ai bombardamenti sonori degli anni Ottanta
Dopo la pubblicazione di Red, nel 1974 Robert Fripp attraversò una lunga fase di crisi mistica ed artistica: anche se si dedicò al lavoro di collaborazione con Brian Eno e David Bowie (sfornando anche un buon album solista), dei King Crimson non ne volle più sentire parlare. Inaspettatamente però, sette anni dopo aver abdicato alla reggenza, il chitarrista creò un nuovo colosso musicale sotto lo stesso nome, con ancora Bill Bruford alla batteria, ma chiamando alla sua corte il bassista veterano Tony Levin (che portò anche il suono peculiare del suo Chapman Stick) ed il chitarrista e cantante Adrian Belew, dando così vita ad una atipica formazione – con due chitarristi e senza tastiere né fiati – dal volto molto diverso da quello ieratico del primo Re Cremisi. Questo risveglio reale avvenne durante l’inizio degli anni Ottanta e, analizzando quello che è successo ad altri giganti del progressive nel corso di quel diabolico decennio, era facile supporre che lo stesso sarebbe accaduto ai King Crimson: fortunatamente, questo si è rivelato non essere il caso ed in tal modo, Robert Fripp detiene l’onore di essere uno dei pochi maestri del prog-rock ad essere rimasti artisticamente “fedeli alla linea” contro il diabolico Zeitgeist degli anni Ottanta, trovando una maniera intelligente di coniugare la musica progressiva con gli elementi new-wave e post-punk, al fine di creare una proposta musicale che è allo stesso tempo accessibile e stimolante.

i King Crimson nel 1981
Inizialmente, Fripp intendeva nominare la nuova band Discipline, ma all’ultimo momento – precisamente a Bath, il 30 aprile 1981 – decise che il Re era tornato e di mantenere quindi lo storico epiteto. Il primo album con la nuova formazione è caratterizzato dalle incredibili escursioni di Levin e Bruford, un crescente uso di campioni elettronici ed un sorprendente cambiamento di rotta generale. In precedenza, Levin si era già fatto conoscere agli appassionati del progressive rock con importanti contributi (in particolare, nei primi tre dischi solisti di Peter Gabriel), dove il suo tonante Chapman Stick aveva fornito un sostegno solido ed immediatamente identificabile. D’altrocanto, Adrian Belew era un cantante abbastanza singolare: a volte la sua voce assume un tono oscuro, in altre circostanze si fa più cristallina, ma in ogni caso il suo stile è molto eclettico, complici anche le sue storiche collaborazioni con David Bowie, Frank Zappa ed i Talking Heads (e proprio della band di David Byrne è palese l’influsso nel corso del disco, trattandosi di uno dei gruppi più “progressivi” del movimento post-punk). Come chitarrista, Belew portò infine il suo suono saturo di feedback e venne reclutato, secondo Fripp, proprio per apportare un elemento pop al sound accademico della band, in contrasto all’intricata precisione di Mister Frippetronics – un dualismo Yin-Yang portato in musica a perfetto compimento, come si può evincere anche dall’ontologico nodo celtico della sgargiante copertina.
La strascicante fiaba pachidermica di Elephant Talk suggella la rinascita del Re, incoronato da uno sfavillante Chapman Stick, nel mezzo di cori allitterativi ed assoli di chitarra, deliberatamente riprodotti al fine di assomigliare a barriti elefanteschi.
In Frame by Frame Robert Fripp e Adrian Belew suonano accordi veloci, ognuno col suo tempo geometrico, dando a Bruford maggior spazio per le sue scorribande percussive, mostrando un controllo molto impressionante del tempo e dello spazio della canzone, pur restando sempre sul filo del rasoio. L’ingannevole ballata di Matte Kudasai (in giapponese “attendere prego”) è poi probabilmente la spina dorsale dell’album, la storia di una triste ragazza giapponese che vive in America aspettando il suo amante, con la slide di Belew che simula il verso dei gabbiani.
Dopo essersi cullati nella traccia precedente, la perversa Indiscipline ci riporta alla realtà, con un lunatico Belew che quasi parla a se stesso, in una composizione delirante ed intrigante allo stesso tempo: un capolavoro minaccioso ed inzuppato di paranoia, con un uso abile di feedback ed il frenetico drumming di Bruford.
L’abrasiva Thela Hun Ginjeet (anagramma di “Heat in the Jungle”) esemplifica le influenze psichedeliche e post-punk che si insinuano in tutto l’album, dirigendosi nei pericolosi territori della poliritmia. La narrazione di Belew e del suo (autobiografico) incontro con i membri di una gang di strada assorbe una interessante combinazione di idee: a Tony Levin viene data la possibilità di distinguersi con una parte di basso accattivante, con alcune interruzioni abilmente cronometrate per enfatizzare gli altri, mentre Bruford dimostra ancora una volta le sue abilità alla batteria, sopra alla coppia Belew / Fripp ancora in lotta tra stridori psichedelici e tic nervosi.
The Sheltering Sky è un brano strumentale (ispirato al romanzo omonimo di Paul Bowles) che fornisce un meritato intervallo dall’estenuante intensità generale dell’album, arrotondando gli spigoli con le duellanti chitarre di Fripp e Belew, sopra al minato campo di battaglia di Tony Levin. Si tratta di una canzone che è allo stesso tempo pastorale e dinamica, calmante e stimolante – una vera e propria dicotomia in musica… proprio come questi nuovi King Crimson.
In ultima posizione (solo numericamente), troviamo la title-track Discipline che, come si potrebbe evincere dal titolo, secerne un ottimo lavoro di squadra, sincronizzato, strutturato e sequenziato a regola d’arte: Fripp, Belew e Levin incastrano le loro note in un puzzle meticoloso frazionato in quattro parti, sostenuti dai tamburi più discreti di Bruford. Fripp rivelò nelle interviste che la canzone è un vero e proprio esercizio di disciplina: ogni membro doveva infatti mantenere un ruolo paritario in tutta la durata della traccia, integrandosi in un sistema unico e democratico. Il risultato che ne deriva è a dir poco mozzafiato, con l’interazione simbiotica tra la chitarra di Fripp e quella di Belew, con entrambe che riescono a condividere la scena senza fare una sola mossa sbagliata, pur snodandosi in un turbinoso guazzabuglio di continui cambi ritmici.
Per concludere, gli appassionati di quel progressive rock puro degli anni Settanta forse non apprezzeranno la reincarnazione del Re Cremisi: non vi è alcun Greg Lake o John Wetton, entrambi spodestati dal carisma di Adrian Belew, la cui chitarra va ad intrecciarsi con metri differenti a quella di Robert Fripp, dando vita ad alcuni vorticosi droni musicali. Vi è qui una prospettiva completamente diversa della musica: uno degli ingredienti chiave è sicuramente l’onnipresente Tony Levin, un bassista impressionante che porta un livello di energia fino ad allora sconosciuto nella corte del Re Cremisi, con una aggressione sonora più mirata e meno suggestiva. Nel complesso, Discipline è dunque una lieta rinascita, ma se proprio si vogliono trovare alcuni difetti si può puntare il dito contro il suo insieme, piuttosto che sul livello qualitativo delle singole tracce, dando a tratti l’impressione di essere un lavoro cucito e poco coerente. In aggiunta, l’album pare un po’ limitato dalle tecniche di registrazione, ma le imperfezioni del missaggio vennero levigate a dovere dal lavoro effettuato nel 2011 da Steven Wilson e Robert Fripp per l’edizione rimasterizzata, partendo dai nastri multi-traccia dell’epoca e lavorando sulla trasparenza e su una miglior definizione del suono. Tuttavia, questi due difetti non bastarono a far tramontare il sole sul vasto impero del Re Cremisi.
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