
King Crimson | Starless and Bible Black (1974)
La rimasterizzazione effettuata nel 2000 ha reso finalmente giustizia del gran lavoro di Fripp alla console di mixage, con un significativo miglioramento del suono che ha fatto emergere i dettagli (ed un sorprendente lirismo) di gran parte del materiale; il libretto incluso viceversa non è imperdibile anche se contiene belle immagini.
Starless and Bible Black è l’opera centrale della trilogia progressive dei King Crimson costituita oltrechè da questo album anche da Lark’s Tongues in Aspic e Red. La band rilasciò il disco nel marzo del 1974 per la E.G. Records e ben 34 minuti sui 46 della sua durata complessiva sono registrati dal vivo e successivamente remixati e “ripuliti” in studio con meticolosità maniacale da Robert Fripp: la ricca documentazione di questo lavoro sarà pubblicata molti anni dopo, nel 1992 nel quadruplo album The Great Deceiver e nel doppio The Night Watch dove confluì gran parte del materiale originale di Starless and Bible Black. I King Crimson per la confezione di questo disco usarono un procedimento per loro insolito: generalmente, avevano utilizzato i momenti di esibizione dal vivo, l’improvvisazione legata a quelle particolari situazioni, come laboratorio su cui imperniare il lavoro “in studio”. Robert Fripp dovette essersi reso conto, tuttavia, di avere tra le mani una band assolutamente straordinaria, che riusciva ad improvvisare dal vivo anche senza l’aiuto di scale e schemi jazzistici o della musica più prettamente d’avanguardia, quindi era proprio dalle registrazioni dei concerti che avrebbe dovuto trarre il materiale per nuovi album, annullando la distanza tra il palco e lo studio, documentando il respiro creativo mentre si crea. Starless and Bible Black, album potente e audace, rappresenta, dunque, il primo tentativo, riuscito peraltro molto bene, di attuare questa filosofia molto più radicale e da quel disco in poi la band lavorerà con questo metodo che li porterà a condividere con i loro fans momenti irripetibili.
La line-up era la stessa di Lark’s Tongue in Aspic senza Jamie Muir, che aveva abbandonato il gruppo a causa di una profonda crisi personale e spirituale, e dunque abbiamo: Bill Bruford, batteria e percussioni; David Cross, violino, viola, tastiere; Robert Fripp, chitarra, mellotron, apparati elettronici e John Wetton, basso e coro; non c’è più il visionario Peter Sinfiel a scrivere i testi ma il più umano, anche se altrettanto immaginifico Richard Palmer-James. I brani sono otto di cui The Great Deceiver e Lament sono gli unici due registrati integralmente in studio; We’ll Let You Know è il frutto di un’improvvisazione catturata all’Apollo di Glasgow il 23 ottobre 1973 e non contiene sovraincisioni; The Mincer è un frammento di un’altra lunga improvvisazione registrata alla Volkshaus di Zurigo il 15 novembre 1973, la parte vocale è sovraincisa in studio; Trio, Starless and Bible Black e Fracture furono raccolti al Concertgebouw di Amsterdam il 23 novembre 1973; i primi due minuti di The Night Watch, infine, sono tratti anch’essi dal concerto di Amsterdam, il resto della canzone è registrata in studio poichè un guasto tecnico al mellotron di David Cross, documentato nel doppio dal vivo The Night Watch, aveva reso inservibile la registrazione. La rimasterizzazione effettuata nel 2000 ha reso finalmente giustizia del gran lavoro di Fripp alla console di mixage, con un significativo miglioramento del suono che ha fatto emergere i dettagli (ed un sorprendente lirismo) di gran parte del materiale; il libretto incluso viceversa non è imperdibile anche se contiene belle immagini. Il titolo dell’album, infine, cita testualmente l’incipit del dramma Under Milk Wood di Dylan Thomas.
The Great Deceiver: un’inaspettata introduzione rock molto vivace e a tratti frenetica. Si avverte una certa giocosa incoscienza nella sezione ritmica ed il brano inizia con cenni di allegria con Wetton che canta: “Sigarette… gelato… piccole immagini della Vergine Maria… Cadillacs …. Blue jean…” ma presto l’atmosfera decade e quello che poteva sembrare lo scherzo di un uomo allegro si trasforma in stridente schizofrenia senile, le transizioni ritmiche diventano fortemente irregolari, la chitarra cade a spirale e i dialoghi tra gli strumenti diventano aspri, improvvisamente quel mantra non sembra poi così divertente anzi c’inquieta e vorremmo capire da dove sia scaturita quella rabbia che adesso anima la voce.
Lament: atmosfera più crimsoniana con chitarra elettrica, mellotron e violino e su tutto la voce di Wetton color dell’ambra e dolorosa, amara e struggente ad interpretare il lamento di un’intera generazione che può essere riassunto nelle parole di Fripp: “Una volta pensavamo di poter cambiare il mondo in ogni momento, poi capimmo che non ci era più permesso”. Quella voce tace all’improvviso e la musica diventa abbagliante e potente e quando Wetton riprende egli ha dimenticato qualunque dolcezza e cerca invano la via della salvezza in un mondo che distrugge la poesia per il solo denaro…
We’ll Let You Know: il brano si innalza lentamente, ogni nota trascorre nell’altra lasciando un senso di sospensione e di attesa. Chitarra, batteria eppoi il basso di Wetton inizia un racconto con gli altri strumenti che intervengono su di lui in un dialogo a più voci tutt’altro che semplice, anzi complesso e sperimentale, certo non orecchiabile. Per ognuno di loro, diversi suoni in una narrazione ampia, articolata e profonda in cui ciascuno racconta di se stesso.
Shine, shine, the light of good works shine
The watch before the city gates depicted in their prime
That golden light all grimy now
Three hundred years have passed
The worthy Captain and his squad of troopers standing fast…
The Night Watch: ispirato al dipinto di Rembrandt La Ronda di Notte, nel brano si mescolano abilmente composizione ed improvvisazione. L’incipit è addirittura epico con un arrangiamento a ventiquattro carati di chitarra, tastiere e violino a spegnersi sulla voce di Wetton, lirica e melodica, che dialoga con violino e chitarra; una dolorosa malinconia salda il tema musicale al testo e l’ispirazione viene suggellata dal basso di Wetton, che s’inserisce con intelligenza sottile nella trama degli strumenti. Bruford riesce ad immergersi nelle transizioni e la sua intonazione ritmica è perfetta, il suo drumming senza pari per creatività: riesce a mantenersi in equilibrio tra moderazione e folle poliritmia, regalando un impatto emotivo enorme.
Trio: brano questa volta senza la batteria con Robert Fripp al mellotron (con il colore tipico di quell’epoca) a dialogare con violino e flauto in un modo che il linguaggio solo con grande difficoltà può spiegare se non con una metafora che potrebbe ricordare una lenta cascata notturna in cui le note risaltano nell’argento dell’astro notturno. Il fiume tranquillo ai piedi del rapido salto trascorre lasciando in chi ascolta/assiste la certezza del tempo.
I “dispositivi” di Fripp tutti in azione in The Mincer brano inquieto e a tratti minaccioso, dove Bruford accumula tensione con i suoi ritmi dispari gestiti con invidiabile coordinazione, serpenti serpeggiano nel paesaggio sonoro creato dagli accordi malvagi della chitarra e dal mellotron, ed è Wetton a darci infine conforto all’ansia che si è impadronita di noi, con una voce appena un po’ roca… il brano sembra interrompersi o almeno si ha quell’impressione per le cose che non vengono dette.
Starless And Bible Black: una lunga sperimentazione che inizia tranquilla, con le note che punteggiano lo spazio sonoro senza occuparlo veramente come spesso accade al principio dei momenti di improvvisazione. Fripp inizia a manovrare i suoi “dispositivi” e nell’aria comincia a crearsi l’attesa soprattutto ascoltando l’intonazionazione grave del basso di Wetton integrato dalle percussioni di Bruford. Il mellotron di Cross si unisce con intonazioni sinistre; la chitarra di Fripp svetta acida. Bruford finalmente in bella evidenza (ci è sembrato che non riuscisse ad esprimersi appieno in alcune parti del disco). Il mellotron combatte per rimanere in vita ma la linea crescente della chitarra lo trapassa con l’idea di un caos funesto; eppoi ancora morbidi arpeggi e percussioni a sfumare, basso pulsante sulla chitarra che cresce di nuovo in combinazione con il mellotron… Un breve nuovo culmine e tutto finisce.
Fracture: il pezzo da solo vale l’insieme di questa avventura, Fripp compone egli stesso il brano e ci viene in aiuto con un fulminante epigramma a spiegarcene il significato: “… Le fratture sono dentro di noi e in questi suoni semplicemente le ritroviamo…” ed è qui che possiamo apprezzare tutto il talento della band costretta a rimanere sulla punta delle sue dita, improvvisando sulle strane geometrie del leggendario chitarrista, sui suoi riff contorti fino al paradosso, in un crescendo emotivo senza pari… e tutti i musicisti lo fanno con grande talento e tecnica, Wetton e Bruford si integrano alla perfezione nel progredire della tensione interna del brano che ne surriscalda la snella struttura melodica lasciando sfuggire lingue di fuoco. Il violino di Cross si sovrappone abilmente al tema principale muovendosi nei segreti recessi del suo lato oscuro e visionario, mentre Fripp continua ad inanellare geometrie luciferine. Una sezione in apparenza tranquilla precede, poi, uno dei riff più forti e cattivi, più grandi e possenti dei King Crimson con il violino che arde altissimo stridendo nell’aria… minacciose spirali di fiamma le note della chitarra che alate trascinano basso e batteria salendo sempre di più sui cambiamenti ritmici di Bruford e Wetton fino al grande scontro percussivo finale in cui tutto si dissolve…
“La musica esiste già, basta lasciarla venir fuori…“