
Kevin Ayers | The Confessions of Dr. Dream and Other Stories (1974)
Il canto del cigno di Kevin Ayers, l'epitaffio del periodo d'oro del biondo vagabondo di Canterbury
Dopo il quarto album Bananamour, le misere soddisfazioni commerciali portarono Kevin Ayers alla rescissione anticipata del contratto con la Harvest e ad un graduale disinteresse verso la scena artistica in favore del sole delle Baleari, da sempre tana del suo esilio. L’amore per le isole si convertì successivamente in un cambio di etichetta: nel 1974 Ayers, infatti, si trasferì alla più quotata Island, una società di solito nota per spendere molti soldi per promuovere i suoi artisti e, avendo quasi raggiunto i 29 anni in quel momento, Kevin sapeva benissimo che era arrivato il momento di compiere il grande passo; in cambio del sostegno economico, Ayers avrebbe però dovuto cedere un po’ della sua libertà artistica: così, per la prima volta, l’ex bassista dei Soft Machine non produsse il suo album, lasciando l’intero compito a Rupert Hine, un dato che si tradusse, nel complesso, in una minor ermeticità dei brani ed una maggior leggerezza pop, nonostante la solita ottima qualità dei testi.
Ormai orfano dei suoi Whole World, alla Island Kevin Ayers ebbe modo di chiamare alcuni grandi nomi nella sua nuova band di supporto: per The Confessions of Dr. Dream and Other Stories furono così reclutati Mike Giles dai King Crimson alla batteria, Geoffrey Richardson dai Caravan alla viola, John Gustafson dai Merseybeats al basso e l’amico Ollie Halsall dai Patto alla chitarra, con la presenza di una numerosa schiera di ospiti, alcuni ormai abituali come il sassofonista Lol Coxhill, la “chantause” Nico, il tastierista ed ex compagno nei Soft Machine Mike Ratledge ed il neo-milionario polistrumentista Mike Oldfield, reduce dal successo planetario di Tubular Bells.

Marvin Siau, Kevin Ayers e Ollie Halsall a Deià nel 1981
A dare l’abbrivio al “Dottor Sogno” ci pensa la cavatina funky di Day By Day, coi cori – un po’ fastidiosi, bisogna dire! – di Doris Troy, Rosetta Hightower e Joanne Williams, a cui fa seguito il country sardonico di See You Later, tra campanelli di biciclette e fischi del treno, un brano molto piacevole ma forse troppo breve per rimanere impresso a lungo nella memoria.
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Il blues gagliardo di Didn’t Feel Lonely Till I Thought Of You, imbastito con la pirotecnica chitarra di Ollie Halsall, è uno dei brani classici del repertorio di Kevin Ayers, che da qui in avanti si trasforma in una sorta di narratore che culla l’ascoltatore attraverso un falso senso di sicurezza tra pianoforti cadenzati, sussurri strumentali e gli accordi maligni dell’organo Hammond.
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Dopo la struggente Everybody’s Sometime And Some People’s All The Time Blues, le cose prendono definitivamente una piega diversa con It Begins With A Blessing/ Once I Awakened/ But It Ends With A Curse, che è fondamentalmente una versione truccata e potenziata della sua Why Are We Sleeping?, presente sul primo LP dei Soft Machine: si tratta di una traccia roboante, spaventosa ma anche comica a tratti, con un losco interludio del sax di Lol Coxhill ed il climax dell’organo clericale di Mike Ratledge che mette letteralmente i brividi.
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Lo sgomento della traccia precedente viene poi lavato via dalla esotica Ballbearing Blues, col suo testo sintomatico della filosofia leggera ayersiana, che possiamo riassumere in un’unica frase: ”if you don’t wear shoes, you’ll have no shoes to lose and that’s the end of the news” (“Se non indossi le scarpe non avrai scarpe da perdere, fine delle notizie”).
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La title-track The Confessions Of Doctor Dream è poi una suite che può essere interpretata come un avvertimento contro l’auto-illusione e, piú in generale, dei pericoli nel prendere troppi farmaci: questa avventurosa epopea sanitaria venne divisa in quattro parti che, in verità, risultano essere quattro canzoni distinte, unite insieme a caso per decisione della Island. La sezione di apertura (“Irreversible Neural Damage“) è estremamente interessante, tra chitarre acustiche intrecciate, i suoni strani del synth, nastri manipolati, il fuzz dell’organo distorto di Mike Ratledge ed il gelo teutonico della voce di Nico; la seconda parte, “Invitation“, è poi interamente strumentale ed alleggerisce i toni con un classico hard-rock senza pretese, mentre il terzo movimento (“The One Chance Dance“) porta alcune strane somiglianze col suono dei Gong, tra urla cosmiche, arcane risate e cori primordiali, che culminano poi nel tema portante dell’ultima sezione (“Doctor Dream Theme“), probabilmente la migliore del repertorio, con il suo folle ritmo lento, le sue chitarre alienanti ed un riff finale talmente allungato e minaccioso che potrebbe perseguitare l’ascoltatore per giorni interi.
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Tuttavia, ancora una volta, Kevin si rifiuta di lasciarci con una maledizione e così, dopo aver aperto il vaso di Pandora, conclude il suo album con la speranzosa Two Goes Into Four, una delle sue più belle ballate acustiche di sempre, una dolce ed elaborata ninna nanna che sigilla il disco delicatamente così come era stato iniziato.
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Tra decadentismo bohèmien e humour infantile, anche in The Confessions of Dr. Dream and Other Stories le canzoni di Ayers sembrano leggere e casuali alla superficie, ma a ben analizzarle rivelano un acume artistico che lo porta in un contesto non distante dal suo amico Syd Barrett: la voce scura e baritonale ma nello stesso tempo anche limpida di Ayers, abbinata ad una visione del mondo ingenua, non è tuttavia gravata dai toni di intrinseca paranoia che pervadono il lavoro di Barrett, quanto piuttosto da una visione pastorale e spensierata della vita, ricavata soprattutto dai suoi numerosi viaggi, in cui Ayers ci informa con gioia puerile anche dell’aspetto più insignificante di una vicenda, che di norma passa inosservata sotto agli occhi “assuefatti” di un adulto.

Kevin Ayers
Con il successivo album in studio Sweet Deceiver (1975), Kevin era ormai succube delle sue alcoliche dipendenze ed indubbiamente quel lavoro fu caratterizzato dall’inserimento prepotente di Elton John, una presenza che si tradusse nella composizione di un disco macchiato da romantiche leggerezze. Anche se la storia canterburiana – secondo lo stesso Ayers – si concluse idealmente nel concerto del 1° giugno 1974 al Rainbow Theatre di Londra, The Confessions of Dr. Dream and Other è indubbiamente l’epitaffio di un periodo d’oro: proprio qui Ayers incontrò la sua anima gemella artistica, il grande chitarrista Ollie Halsall, e proprio per lo shock della morte dell’amico per overdose nel 1992, Kevin decise di ritirarsi dal mondo musicale.
Dopo alcune collaborazioni (tra cui quella significativa con Lady June), Kevin Ayers decise poi di ritornare alla Harvest, con Yes We Have No Mañanas (1976) e Rainbow Take Away (1978), due dischi che contengono ancora qualche pezzo degno di nota, ma che preludono al suo ritiro francese. Negli anni Ottanta la sua attività discografica si fece sempre più rada fino a Falling Up (uscito nel 1988 e che contiene “Am I Really Marcel”, la canzone-manifesto della sua sintomatica “pigrizia filosofica”), ma meritano una menzione speciale gli abum del gran ritorno, Still Life with Guitar (1992) e The Unfairground (2007), in cui Kevin si circondó nuovamente dei vecchi amici, ma ritrovò soprattutto la voglia di condividere e di cantare. Nel 2013 sopraggiunse, infine, l’inevitabile morte, che lo trovò a Montolieu, uno sperduto villaggio di 800 anime nel Sudest della Francia, dove Ayers viveva in assoluta solitudine da ormai quindici anni: una scomparsa passata quasi inosservata, scossa dall’ambiguità del biglietto ritrovato accanto al suo letto con scritto “You can’t shine if you don’t burn” (“Non puoi brillare se non bruci”) – forse una nota per una canzone, forse un addio, ancora le circostanze non sono state spiegate, accantonando quel mistero come accantonata presto è stata la sua morte. Pensando a quella frase, ai posteri forse sarebbe meglio sottolineare come, in un mondo di ciechi ed ottusi, è difficile notare alcuni luci e proprio questa sorte è toccata a Kevin Ayers: un grandissimo cantautore ignorato ingiustamente dalla massa, e non soltanto a causa della sua volontà di non mettersi mai completamente in competizione.
La notizia della scomparsa di Ayers venne diffusa dall’ufficio stampa di Montolieu che definì Kevin come “una brava persona, molto semplice“, ricordando come il musicista avesse lasciato una delle sue chitarre in un caffè del posto, scrivendovi sopra “per chiunque voglia suonarla“. Un gesto semplice eppure non banale, che racchiude tutta la generosità di questo eccentrico artista: dopo più di quaranta anni di carriera, sempre in disparte dal mondo del business che ti ruba l’anima, Ayers avrebbe sicuramente meritato di più.
Colgo l’occasione per ringraziare il musicista Andrea Cavallo, l’unico italiano presente ai funerali di Ayers a Deiá, che mi ha segnalato il solo libro dedicato a Kevin Ayers, per chiunque masticasse un po’ di spagnolo: “Kevin Ayers ¿Por que estamos durmiendo?” di Alberto Manzano. Consiglio, infine, anche “Kevin Ayers: August 16th 2013 Deià” di Susan Lomas, purtroppo anche questo disponibile solo in lingua straniera, questa volta in inglese: non è una biografia, ma la storia di una sequenza di eventi che portarono alla celebrazione commemorativa per Kevin Ayers a Deià (Maiorca) il 16 agosto 2013.