
Kevin Ayers | Shooting at The Moon (1970)
Il miglior album di Kevin Ayers. Tra le spiagge di Ibiza, un mix di ironia, spensieratezza, senso dell'umorismo, amore per la vita, sperimentazione ed avanguardia.
Kevin Ayers è stato uno dei musicisti più importanti della Scena di Canterbury. La sua gioia di vivere a tratti quasi infantile, la sua ironia, spensieratezza e voglia di libertà lo hanno portato ad evitare sempre il meritato successo e lo hanno reso un personaggio quasi unico della storia del rock.
Il suo carattere, allegro, socievole e divertente, si formò nell’infanzia che ebbe la fortuna di passare, per la maggior parte, in Malesia dove visse col padre diplomatico. In quel paradiso apprese lo stile di vita locale che gli impedì di prendersi troppo sul serio e gli fece preferire una vita allegra tra vino, spiagge e donne a quella stressante e faticosa del lavoro e dei tour imposti dalle case discografiche.
All’età di dodici anni ritornò in Inghilterra, a Canterbury, dove fece la conoscenza di tutti i musicisti che stavano, inconsapevolmente, creando una delle scene musicali più importanti della storia del rock. Conobbe Robert Wyatt, Brian e Hugh Hopper, Dave Sinclair, Daevid Allen, ed altri. Grazie a queste amicizie, nel 1963 (Kevin aveva 19 anni), nacque il suo primo gruppo, i Wilde Flowers che sono diventati famosi per essere stati l’embrione di tutta la musica di Canterbury. Dalla loro scissione nacquero i Soft Machine e i Caravan, che a loro volta generarono quasi tutti i gruppi della Scena.
Nel 1966, ormai finita l’esperienza con i WF, fondò insieme a Robert Wyatt, Mike Ratledge e Daevid Allen i Soft Machine che diventarono il principale gruppo della Scena di Canterbury. Dopo una serie di live che riscossero un notevole successo e dopo un viaggio in Francia, da dove Allen non tornò per motivi di passaporto, Wyatt, Ayers e Ratledge pubblicarono il loro primo album.
I tre iniziarono un tour che li portò a fare da gruppo di supporto addirittura a Jimi Hendrix. La vita stressante, i ritmi incalzanti non erano però adatti all’idea di felicità che aveva in testa Ayers.
Questo è un ricordo di quei momenti che ci fa capire molto bene il suo carattere: “La prima parte del tour durò due mesi ma a me sembrarono sei; si viaggiava e ci si esibiva sovrastati da un’incredibile intensità, un vero e proprio tour de force. Fu dura iniziare come spalla a Hendrix perché poteva contare su un pubblico assai vasto e noi proponevamo un genere che non aveva nulla in comune col suo. A ogni modo finii col non distinguere più le notti dai giorni poiché in quella trasferta mi buttai a capofitto nello stile di vita che si suppone tipico del rock’n’roll, ma subito dopo mi stancai di quei ritmi e per venirne a capo mi trasformai in una specie di recluso. Non partecipavo neanche alle feste post-concerto. L’aspetto che mi restò impresso di quell’esperienza fu ovviamente il fenomeno Jimi Hendrix. L’indicibile energia che sprigionava era al di là dalla nostra portata, oltre ogni mia aspettativa. Mai vista roba del genere. La facilità con la quale riusciva a generare quel potere, quella luce abbagliante… era chiaro si trattasse di una stella cadente in rapida collisione con la Terra, una stella prossima a disintegrarsi a causa della sua stessa insostenibile intensità”.
Lo stress, insieme a divergenze musicali, portò Ayers a lasciare non solo i Soft Machine ma persino l’Inghilterra. Si trasferì ad Ibiza (dove credo viva tutt’ora), in un ambiente più consono al suo stile di vita. Iniziò così la sua carriera solista.
Dopo l’ottimo primo album Joy of a Toy (1969), che già dal titolo fa emergere la sua voglia di un’infantile spensieratezza, pubblicò il suo miglior album, Shooting At The Moon (1970). Per l’occasione creò una vera e propria band con il diciassettenne Mike Oldfield alla chitarra e basso, David Bedford al piano (quello che, tre anni dopo, aiutò Oldfield a pubblicare Tubular Bells), Lol Coxhill al Sassofono e Mick Fincher alla batteria.
I Whole World erano formati. Ecco i ricordi di Ayers: “Fu un meraviglioso caos, tutto era consentito. L’unica regola era che regole non ce n’erano. Fu una specie di liberazione da certe costrizioni. Non ricordo i dettagli ma la cosa fondamentale è che quel risultato fu possibile perché la casa discografica ci diede carta bianca e non tentò d’interferire o suggerire alcunché”. Anche l’esperienza con i Whole World terminò presto, sempre per gli stessi motivi, l’incapacità di Ayers di sopportare la fatica dei tour.
Shooting at The Moon è un concentrato dell’idee di Ayers ed uno degli album più importanti di Canterbury. C’è sempre il clima rilassato ed infantile del primo album solista, ma a questo si aggiunge un livello di sperimentazione nuovo, visibile chiaramente nei due brani d’avanguardia (Pisser Dans un Violon e Underwater). Il suono riprende in parte il primo dei Soft Machine e sembra quasi una critica alla svolta più intellettuale e seriosa intrapresa dal gruppo dopo la sua sostituzione con Hugh Hopper. Ai brani più sperimentali si aggiungono quelli tipici, allegri, scherzosi e malinconici di Ayers.
Il primo brano è la splendida dichiarazione d’amore May I?. L’atmosfera è serena, tenera e malinconica allo stesso tempo. In tutti i video dei live si vedono le caratteristiche di Ayers, un personaggio alternativo, stravagante, dandy. Notate nel video un Mike Oldfield adolescente.
Più tipica del sound di Canterbury è Rheinhardt And Geraldine che sostituisce quello che doveva essere l’assolo con un collage confuso per poi riprendere il motivo iniziale.
Molto duro il rock and roll di Lunatics Lament che a tratti sembra quasi presagire qualcosa del futuro punk. Probabilmente la chitarra più dura mai suonata da Mike Oldfield.
Il resto dei brani sono le ballate The Oyster And The Flying Fish, Clarence In Wonderland e Red Green and You Blue, dove emergono lo spirito giocoso e le cantilene infantili di Ayers.
Chiude l’album la psichedelica, ipnotica e ripetitiva title-track.
La capacità di Ayers di miscelare avanguardia con i violini e violoncelli di Pisser Dans un Violon e Underwater, ballate che ricreano le atmosfere di Ibiza, l’allegria, i cori divertenti contornati da libertà e sperimentazione, questa sorta di tira e molla tra brani complessi e difficili ed altri semplici ed immediati rendono Shooting at The Moon un album unico ed imperdibile della Scena di Canterbury.