
Jumbo | Vietato ai minori di 18 anni? (1973)
Il terzo album dei Jumbo è uno dei capolavori dello storico prog italiano, un disco sfrontatamente diretto ed originale, capace di sviscerare tutti i tabù di una società moralista ed ipocrita.
La storia dei Jumbo inizia da quella del suo leader, Alvaro Fella: alla metà degli anni Sessanta, il bassista dalla voce graffiante suona nel gruppo di Gianni Pettenati – il gonfaloniere di “Bandiera Gialla”! – e proprio qui viene notato dal discografico Silvio Crippa, passando così per la corte di Mogol e Battisti che lo scritturano per la Numero Uno. Il primo repertorio non è dei più entusiasmanti, con due 45 giri solisti pubblicati a nome “Jumbo” in collaborazione coi turnisti di Lucio Battisti, tuttavia la vera occasione si presenta quando Crippa abbandona la vecchia etichetta per unirsi alla Philips, portando con sè Alvaro Fella con la promessa di una maggior libertà artistica. Con questa nuova autonomia, nel registrare il primo album il musicista decide di contattare i suoi vecchi amici, coi quali poi formerà la band che porta il nome del suo alter-ego discografico, Jumbo. Così, attorno alla carismatica figura del cantante e polistrumentista Alvaro Fella, si riuniscono Daniele Bianchini (chitarra), Dario Guidotti (flauto, armonica, chitarre), Sergio Conte (tastiere), Vito Balzano (batteria) e Alberto Agazzi (basso), che verrà presto sostituito da Aldo Gargano. Sono tutti personaggi poliedrici, il cui eclettismo si converte in un rock progressivo lontano dagli stilemi della scena italiana, ibridandosi alla sensibilità del folk e a quella del blues, dietro l’egida dei testi controversi e graffianti di Fella che non solo trovano pochissimi uguali in Italia (Biglietto per l’Inferno, il primo Juri Camisasca), ma anche a voler uscire dai nostri confini geografici risulta davvero difficile segnalare paragoni adeguati.

Jumbo
Allo scadere dell’estate del 1971 il gruppo ha già preparato l’album d’esordio Jumbo che, per ragioni mai completamente chiarite (c’è chi vocifera sullo scetticismo dei dirigenti della casa discografica), esce nei negozi soltanto nell’aprile del 1972, quando ormai il secondo disco DNA era in fase di assemblaggio. Nel 1973 è infine il turno del terzo LP, con cui arriva nella scuderia dei Jumbo il batterista Tullio Granatello, accrescendo notevolmente le espressività ritmiche della band. Vietato ai minori di 18 anni? nasce così, con quel punto interrogativo posto in coda come a volersi chiedere perché fosse ancora vietato affrontare certe tematiche. In copertina c’è una bambina guardinga che vuole curiosare nella camera dei suoi genitori, nello stesso modo con cui un intero popolo vorrebbe scrutare al di là delle finte verità che gli vengono propinate dalla televisione. I Jumbo rispondono a quella domanda con otto canzoni che affrontano, ognuna a modo suo, alcuni dei temi più scomodi di una società ipocrita e moralista: ecco allora che si parla di omosessualità, masturbazione, emarginazione, alcolismo, tossicodipendenza, prostituzione e religione, senza celarli dietro lemmi altezzosi o finte allegorie. I testi di Fella dipingono senza bon-ton un’Italia crudele e reale, un’Italia che si pone anch’essa a voce bassa degli interrogativi, a cui però rispondono soltanto i vecchi benpensanti, chiudendo di fatto le porte ad ogni forma di discussione coi giovani.
L’inizio non può che essere in media res e Specchio si apre mettendo subito in forte imbarazzo l’ascoltatore: “avevo sette anni quella volta che in colonia bagnai il letto, mi fecero percorrere il lungo corridoio che portava alle docce tirandomi per le orecchie, schernito da tutti. Ero nudo”. Con quell’immagine di sconcertante nudità, la traccia prosegue poi in un crescendo ancora più disagevole, fino allo scabroso finale (“continuo a masturbarmi e son sicuro non avrò mai un figlio“). Tuttavia, la voce di Alvaro Fella in tutta questa scomoda confessione rimane sempre forte e convinta, risultando tra le più credibili della scena progressiva italiana. La chitarra di Daniele Bianchini emette un suono sporco, riflettendo la strascicata narrazione di Alvaro Fella in maniera a tratti perfino incresciosa, mentre Dario Guidotti e Sergio Conte, tra fiati e percussioni, completano un quadro di claustrofobica inettitudine. Prendendo spunto da una semplice lettera al direttore che Fella aveva letto su un giornale, inviata da un ragazzo con evidenti problemi esistenziali, i Jumbo invitano l’ascoltatore a riflettere su temi allora (come adesso) scabrosi come l’omosessualità, la masturbazione e l’educazione cattolica, e lo fanno con la potenza empatica di un racconto in prima persona.
Dopo essersi guardati allo specchio, la sentenza non può che essere l’inadeguatezza di Come vorrei essere uguale a te. Il tema della solitudine e dell’emarginazione vengono sublimati in musica dall’eco di un pianoforte che cede poi il passo alla chitarra acustica e a quella elettrica, sul ritmo granitico del nuovo arrivato Tullio Granatello. In questo ostico substrato, Alvaro Fella canta con un timbro sempre più sporco, fino all’esplosione della rassegnazione nel finale: “c’è tanta amarezza nel mio cuore“.
Alla breve Il ritorno del signor K (sequel di un noto pezzo del loro album DNA) fa poi seguito la fosca Via larga, una violenta storia d’amore e prostituzione con un epilogo brutale, ancora una volta basata su fatti di cronaca realmente accaduti. Versi come “ogni sera in una via del centro vendevi te stessa, contrattavi il tuo corpo, come si fa al mercato rionale con la carne di maiale. Poi al mattino tornavi a casa, lui ti vuotava le tasche e se i soldi non erano sufficienti ti prendeva a ceffoni“ esprimono pienamente una barbara storia di violenze e sottomissioni, più vicina alle tematiche dei poètes maudits o alla scrittura sporca di Bukowski e Miller che agli album progressivi coevi.
Alleggerisce apparentemente i toni Gil, una jam registrata con gli ospiti tastieristi Franco Battiato e Angelo Vaggi – tra campane e synth – e con il percussionista Lino Vaccina (Aktuala): si tratta di un pezzo piuttosto destrutturato, avvolto in una coperta psichedelica costruita su strati di mellotron, sintetizzatori ed una patina di percussioni etniche, che vogliono mutare in musica l’agonia della tossicodipendenza.
In Vangelo?, se ci fossero ancora rimasti dei dubbi troviamo il motivo per cui i Jumbo vennero bannati dai programmi radiofonici. Il testo è decisamente forte e diretto, trattando senza mezzi termini dell’onanismo (o meglio, la masturbazione), a quei tempi visto come una pratica peccaminosa che porta a mostruose e deformanti malattie. Fella risponde così: “Se tutto ciò fosse vangelo noi vivremmo in un mondo di pazzi, se tutto ciò fosse vangelo il mondo sarebbe pieno di mostri“.
Successivamente, dopo l’esorcismo alcolico di 40 gradi si giunge alla conclusione del disco, ed è un epilogo che non si dimentica: No! è un rabbioso manifesto contro la società degli anni Settanta (ma che potrebbe andare benissimo anche per quella oclocratica attuale…), la risposta definitiva a quel divieto interrogativo posto sarcasticamente in copertina. Con voce graffiante Fella canta la sua filippica come un pugno sullo stomaco (“Diciamo no, a ipocriti e borghesi, a chi è in mala fede, a chi non sogna che ricchezza, ai falsi venditori di parole […] Diciamo no a chi non ci permette di parlare!”), chiudendo il disco con una catartica quanto isterica risata.
Nonostante una fervida attività concertistica, il successo commerciale non arrivò mai e dopo la pubblicazione di un altro 45 giri nel 1975 (“Vorrei / Il Re dei re del rock ‘n’ roll”) i Jumbo si sciolsero, scrivendo ufficialmente poi la parola fine con l’album Violini d’autunno (1983) a quello che fu, senza dubbio, uno degli episodi più originali della scena progressiva italiana.