
Joy Division | Closer (1980)
Esaurita la rabbia del punk, si giunge alla rassegnazione, al senso di impotenza e all'apatia. La fine della parabola di Ian Curtis e delle sue visioni apocalittiche.
La rabbia è un sentimento destinato a durare poco che può esaurirsi in due modi; se è accompagnata da una grande idea di cambiamento può risolversi in sollievo e soddisfazione, ma se è una rabbia fine a se stessa, distruttiva, senza alcun progetto alle spalle, quando apparirà chiaro che non porterà ad alcun miglioramento, non potrà che essere seguita dalla depressione se non addirittura dalla disperazione. Il punk è stato anche questo; una rabbia ceca che voleva distruggere tutto quello che appariva vecchio, stantio, borghese. Una collera impetuosa che non aveva idea di cosa costruire sulle macerie, non avendo alcun progetto o base culturale, fu solo un grido che diceva al mondo che tutto faceva schifo e che nessun futuro migliore era possibile. Da questo punto di vista il grido No Future, No Future, No Future for You dei Sex Pistols in God Save The Queen è il vero e proprio inno di quella breve stagione. La rabbia dura circa due-tre anni, fino al 1978-1979; finita quella si prende coscienza che il mondo fa davvero schifo e che l’odio o l’indignazione non basteranno a cambiarlo. Questo non poteva che portare a due strade; una era la rassegnazione e il senso di totale impotenza, l’altra era quella che, compreso che il benessere collettivo era irraggiungibile, avrebbe portato a quello sfrenato egoismo e carrierismo che si riscontrerà nei rampanti anni ottanta. Uno dei simboli principali della prima strada sono stati i Joy Division di Ian Curtis.
La musica dei Joy Division ha pochissimo a che fare con il punk, le sue vere caratteristiche, depressione e oscurità, sono frutti, più che di una scelta consapevole del gruppo, del carattere e dei sentimenti del loro leader indiscusso, Ian Curtis. Sensibile, fragile, tormentato da una forma di epilessia che non gli dava tregua, sposato giovanissimo e separato in modo burrascoso, Ian Curtis ha cantato e scritto il suo commovente percorso che lo porterà – dopo avere forgiato la musica degli ottanta – inevitabilmente al suicidio, avvenuto a ventitre anni. Le similitudini con Jim Morrison sono lampanti. Figli di generazioni e di mondi diversi (Jim Morrison leader del rock di Los Angeles in epoca hippie, Ian Curtis figlio della crisi economica di una Manchester post-industriale) sono stati due giovani famosi ma sensibili che si sono scontrati in modo tanto duro con la realtà da non essere riusciti a sopravvivere. La mia idea è che se Jim Morrison fosse nato dieci anni dopo avrebbe suonato musica simile ai Joy Division. La musica era semplice, oscura e deprimente (si dirà dark o gothic), ma aveva il merito di avere superato il punk – da cui traeva origine – per avere introdotto contaminazioni di musica elettronica che ricordavano i Kraftwerk e per avere superato la centralità della chitarra elettrica tipica del punk. Nei Joy Division la chitarra passa in secondo piano; il basso di Peter Hook e la batteria di Stephen Morris sono la base principale a cui si aggiungono a volte la tastiera, che precorerrà il sinth-pop, a volte una chitarra aspra e ruvida. Alcuni riscontrano similitudini con le atmosfere dei Black Sabbath, ma mentre per questi ultimi la scelta di temi e ambientazioni oscure era studiata a tavolino, nel caso di Ian Curtis era un dialogo diretto con i suoi incubi o addirittura con la morte, che bramava e rifuggiva allo stesso tempo. La scelta di Curtis era molto più sincera e genuina.
Closer viene pubblicato poche ore dopo il suicidio di Curtis. Già dalla emblematica copertina si capisce la depressione estrema dell’album; sembra quasi che Curtis sapesse già durante le registrazioni quello che sarebbe successo. La scelta della copertina non fu comunque speculativa in quanto, quando Curtis si tolse la vita impiccandosi, gli LP erano gia stampati e pronti per essere spediti nei negozi. I brani che esemplificano meglio Closer si trovano alla fine, Twenty Four Hours, The Eternal e Decades. Twenty Four Hours è la descrizione di un calvario esistenziale, della vita che è un continuo fallimento senza fine.
“Ora ho capito che non c’è più alcuna ragione per vivere, tutto è andato a rotoli”
The Eternal ha l’andamento di un corteo funebre ed è il vero annuncio del suicidio di Curtis. L’eternità potrà essere ottenuta solo dopo essersi liberato del peso dell’esistenza. Musicalmente siamo lontanissimi dal punk o dal post-punk, siamo più vicini alla musica classica moderna o ai Doors. Il vero capolavoro dei Joy Division.
Decades è l’estremo saluto di Curtis. Il brano ha qualcosa del sinth-pop che sfonderà negli anni ottanta. Lo sfruttamento commerciale che ne seguirà non deriva certamente da qui.
“Abbiamo bussato alla porta più oscura dell’inferno. Spinti al limite siamo entrati”
Il resto dei brani sono sempre segnati dalla voce meccanica di Curtis, dal basso di Hook e dalle atmosfere macabre. Segnalo Atrocity Exhibition, che descrive un futuro distopico immaginato dallo scrittore James G.Ballard, e Passover, brano molto sottovalutato, dove la voce atona e minimale di Curtis e le note graffianti della chitarra cantano il passaggio dalla vita alla morte, come fa anche Isolation seppur con una musica molto più vicina al sinth-pop.
Nel 2007 il regista Anton Corbijn pubblicherà un film su Ian Curtis, intitolato Control. Qui vedete la scena finale del film.