
Jimi Hendrix | Electric Ladyland (1968)
Electric Ladyland è il disco che meglio rappresenta quell’universo acido e psichedelico che Hendrix doveva vivere in quel momento della sua esistenza artistica ed umana, le sue visioni interiori e quelle “artificiali” indotte dal consumo di droghe, ed è un album che lascia senza fiato, degna conclusione di quella trilogia che lo vede affiancato agli altri due capolavori Are you experienced e Axis Bold as Love.
Terzo ed ultimo album in studio di Jimi Hendrix, Electric Ladyland fu rilasciato nel settembre del 1968 per la Track Records in Inghilterra ed il mese successivo negli States per la Reprise Records. Le registrazioni del disco furono effettuate tra i Record Plant Studios di New York e gli Olympic Studios di Londra insieme con i due ingegneri del suono preferiti del musicista, Eddie Kramer e Gary Kellgren. Storia piena di contrasti quella di Electic Ladyland che vede l’abbandono dello storico produttore di Hendrix, Chas Chandler, sempre più frustrato dal perfezionismo del musicista ma anche dalla sua diversa concezione dell’organizzazione del lavoro in studio: più classica quella di Chandler secondo cui le sessioni di prova dovevano essere brevi e compatte, tutte elaborate negli stessi studi e con brani di una durata non superiore ai 4-5 minuti per poter eventualmente essere venduti come singoli; più libera quella di Hendrix, portato a sviluppare (spesso solo per il proprio piacere) lunghe jam sessions con i numerosissimi musicisti che lui invitava e che affollavano gli studi di registrazione, affinando via via le idee che maturavano, chiedendo molte ripetizioni in attesa che si creasse la finale alchimia del pezzo unico. Si racconta che il brano Gipsy Eyes fu registrato ben 43 volte in versioni sempre differenti prima che Hendrix ne scegliesse una dichiarandosi neanche tanto soddisfatto.
Il produttore abbandonò Hendrix nel maggio del 1968 ed anche con il bassista Noel Redding il rapporto si affievolì, anch’egli infastidito dalle tante persone che frequentavano gli studi di registrazione: “… C’erano tonnellate di persone in studio – ricorda Redding – non ci si poteva quasi muovere, sembrava una festa, non una sessione di registrazione”, e alla fine egli fu persino escluso dal brano 1983… (A Merman I Should Turn to Be) dove è lo stesso Hendrix a suonare il basso. Durante quelle interminabili jam sessions molti furono i musicisti che si unirono al gruppo di Hendrix composto dal citato Noel Redding al basso e Mitch Mitchell alla batteria e ne ricordiamo qualcuno: Jack Casady, basso; Steve Winwood, organo; Larry Faucette, conga; Mike Finnigan, organo; Fred Smith, corno; Buddy Miles, batteria; Chris Wood, flauto; BB King, chitarra; Elvin Bishop, chitarra; Al Kooper, pianoforte; Mike Mandel, pianoforte; Dave Mason, chitarra, voce; The Sweet Inspirations, coro, tutti presenti a vario titolo nei brani del vinile. Hendrix volle dedicare il disco alle “groupies”, che lui chiamava “electric ladies“, che erano poi le fans che si univano al seguito dei gruppi musicali dell’epoca e che nel caso del musicista americano erano davvero molte, a sottolinearne la forte carica erotica che lo contraddistingueva nelle sue esibizioni pubbliche; nel titolo egli sembra alludere ad un paese incantevole e fantastico, perfetta rappresentazione sognante del mondo del rock (perlomeno come era vissuto in quel tempo).
La copertina del disco, infatti, secondo lui doveva rappresentare proprio questo: in una lettera alla Reprise Records egli descrive la sua idea secondo cui si dovesse utilizzare una foto di Linda Mc Cartney che ritraeva la band seduta assieme a dei bambini sopra la scultura ispirata al romanzo Alice Nel Paese Delle Meraviglie situata nel Central Park di New York; ma la casa discografica ignorò tutto questo e pubblicò il disco utilizzando una foto del chitarrista in primo piano, virata in giallo e rosso, opera di Karl Ferris. Non andò meglio in Inghilterra dove la Track Records pubblicò l’album racchiuso in una copertina che ritraeva, in un’immagine di David Montgomery, 20 donne nude, in varie pose su sfondo nero e con i seni in bell’evidenza e con in mano un ritratto di Hendrix. L’impatto sull’opinione pubblica fu terribile: molti negozi di dischi si rifiutarono di esporlo e anche al musicista non piacque molto con il risultato che il disco fu ritirato e poi ripubblicato con la copertina che ancora oggi conosciamo. La rimasterizzazione su CD ci consegnò un lavoro a dire la verità eccellente con molte cose finalmente udibili ed alcune stupefacenti: la prima edizione fu curata dalla Polydor in confezione doppia con la copertina censurata ma con una tracklist incomprensibilmente alterata; l’edizione curata dalla “Experience Hendrix” invece è costituita da un solo CD, con tutto il contenuto del vinile (con un consistente risparmio per i consumatori) e la copertina con il primo piano “infuocato” del musicista, e corredato da un bel libretto con foto di Linda Mc Cartney.
La struttura dell’album, della durata di circa settantacinque minuti, è molto varia e composita ma non complessa: sedici tracce abbastanza corte con la sola eccezione di Voodoo Child, di quindici minuti, in cui il musicista suona con Steve Winwood, Jack Casady, dei Jefferson Airplane e Mitch Mitchell, creata dal vivo in studio, e 1983… (A Merman I Should Turn to Be) lunga altrettanto. Electic Ladyland è il disco che meglio rappresenta quell’universo acido e psichedelico che Hendrix doveva vivere in quel momento della sua esistenza artistica ed umana, le sue visioni interiori e quelle “artificiali” indotte dal consumo di droghe, ed è un album che lascia senza fiato, degna conclusione di quella trilogia che lo vede affiancato agli altri due capolavori Are you experienced e Axis Bold as Love. Dopo non seguì alcuna altra registrazione in studio ma solamente un disco dal vivo Band of Gypsys, tutto il resto del materiale fu pubblicato dopo la sua morte, avvenuta il 18 settembre 1970, e che ancora oggi presenta lati oscuri. Electic Ladyland segnerà di fatto la presa di distanze di Hendrix dal suo gruppo che culminerà con lo scioglimento che avverrà dopo l’esibizione del 24 febbraio 1969 alla Royal Albert Hall di Londra, un live davvero straordinario forse proprio perchè i musicisti si sentivano finalmente liberi l’uno dall’altro.
Cascate d’inchiostro sono state scritte sulle singole tracce di questo album e si rischia di perdersi in descrizioni sostanzialmente inutili di questo o quel singolo assolo o passaggio di straordianaria efficacia o nella stupefacente scena sonora creata dalla potente amplificazione che Hendrix riusciva a dosare con capacità tecnica inusuale: vorremmo solo ricostruire il percorso musicale del disco punteggiando alcune delle sue parti migliori con qualche notizia circa i musicisti che suonavano con il chitarrista di Seattle. L’opener dell’album …And The Gods Made Love, è un brano che s’ispira alla musica di Broadway di quegli anni e introduce il primo brano psichedelico dei molti presenti sul disco Have You Ever Been (To Electric Ladyland) e Crosstown Traffic, che fu pubblicato anche come singolo, brano rock’n’roll dal ritmo frenetico ed un testo stile Hot Rod’s anni ’50. Si prosegue con la splendida Voodoo Child di cui abbiamo accennato con Steve Winwood che per lunghi momenti ruba la scena ad Hendrix sostituendosi alla chitarra con il suo hammond. Poi abbiamo Little Miss Strange composta da Noel Redding che la canta; torna Hendrix con Long Hot Summer Night con Al Kooper al piano e Come On (Let The Good Times Roll), canzone breve ma con quattro assoli di chitarra di rara potenza.
Segue Gypsy Eyes, dedicata alla madre del chitarrista, realizzata con oltre settanta sovraincisioni, il cui risultato peraltro non soddisfece completamente il musicista; altro singolo Burning Of The Midnight Lamp brano relativamente rilassante (se così si può dire). Il lato C si apre con un colpo di tosse e Rainy Day, Dream Away, segue poi il brano più bello ma anche quello più psichedelico di tutta l’opera di Hendrix, 1983: A Merman I Should Turn To Be in cui emerge per intero il genio del musicista, Chiude Moon, Turn The Tides, in cui il chitarrista viene accompagnato al flauto da Chris Wood. Apre l’ultima parte dell’opera Still Rainin’, Still Dreamin’ che riprende il tema di Rainy Day con lunghi frammenti di jazz e la presenza di Buddy Miles, che sarebbe diventato il batterista della Band Of Gypsys, Mike Finnigan, Larry Faucette e Freddie Smith, seguita da House Burning Down, con un ritornello indimenticabile ed un ritmo trascinante che si chiude con il crollo della casa, effetto poi emulato alla chitarra da Hendrix a Woodstock quando imita il suono dei bombardamenti in Vietnam inseriti nella sua personalissima versione dell’inno americano. Il disco finisce con due brani rimasti famosi nell’immaginario degli amanti di Hendrix: All Along The Watchtower, cover di Bob Dylan e Voodoo Child (Slight Return), con un lungo assolo del chitarrista di quasi sei minuti interrotto a tratti dal suo delirio vocale.
Disco epocale, Electic Ladyland, che racchiude l’anima di Jimi Hendrix più di ogni altro suo lavoro, sia tra quelli rilasciati da lui che postumi, la sua singolare creatività senza schemi ed il suo modo originale di comunicare che permetteva a ciascuno di assistere con gioia e trasporto alle sue esibizioni dal vivo. L’album si aggiudicherà due dischi di platino e numerosi riconoscimenti rimanendo nel 1968 in vetta alla classifica Billboard 200 per due settimane. Electic Ladyland è incluso anche nel libro 1001 Albums You Must Hear Before You Die del 2005.