
Jethro Tull | Aqualung (1971)
Primo tentativo del gruppo inglese di realizzare uno stile progressivo essenziale, senza eccessi strumentali, incisivo e penetrante
“Sitting on a park bench
eyeing little girls with bad intent.”
Nessuno si aspettava un disco così. I Jethro Tull (il nome è quello di un agronomo inglese del Seicento inventore della seminatrice automatica) pubblicano Aqualung nel marzo 1971 per la Chrysalis Records. I loro stile si era già definito ed affermato attraverso i loro primi tre ottimi album in cui era emersa dominante la figura del loro flautista e leader Ian Scott Anderson, ma con Aqualung trovano una misura raffinata ed irresistibile, una struttura musicale complessa, irregolare, ricca di variazioni che i primi lavori non lasciavano neanche presagire e che gettò sconcerto tra pubblico e critica. Aqualung costituisce il primo tentativo del gruppo inglese di realizzare uno stile progressivo essenziale, senza eccessi strumentali, incisivo e penetrante.
L’album impressionò fin dalla copertina: un barbone dallo sguardo duro, luciferino, l’espressione crudele e dolente, con le fattezze di Anderson e alle sue spalle un manifesto che pubblicizzava vacanze natalizie costose ed eleganti; nel titolo, con una perifrasi, si paragona il respiro catarroso del barbone con un respiratore subacqueo. Molti definiscono, ancora oggi, Aqualung un concept album, nonostante lo stesso Anderson ne abbia sempre negato l’intenzione, e tuttavia nelle liriche troviamo temi dominanti e frequenti che riguardano la condizione degli emarginati ed il difficile e tormentato rapporto dell’uomo con la religione, soprattutto quando questo rapporto si sviluppa nei bassifondi fetidi di una umanità miserabile e dolente.
La line up del disco è composta da Ian Anderson (flauto, voce, chitarra acustica, chitarra elettrica), Martin Barre (chitarra elettrica), Clive Bunker (batteria, percussioni), John Evans (piano, organo, mellotron), Jeffrey Hammond (basso, voce). Molti dei brani dell’album diventeranno i cavalli di battaglia più eseguiti dal gruppo nelle performances dal vivo.
Do you still remember
December’s foggy freeze
when the ice that clings on to your beard is
screaming agony.
And you snatch your rattling last breaths
with deep-sea-diver sounds,
and the flowers bloom like
madness in the spring.
Aqualung, la title track del disco, con un testo scritto dalla prima moglie di Anderson, Jennie Franks, inizia con un celeberrimo riff di chitarra su cui parte la voce dura, graffiata del flautista. Il brano prosegue su una cadenza più intimista con voce e chitarra “schiacciate” dall’equalizzatore, ad imitare un rudimentale megafono: parte il racconto delle vicende e delle sfortune di Aqualung. Si riprende ritmo e velocità e Ian Anderson mostra tutta la sua capacità di adattare la voce al tema delle canzoni, con una vasta gamma di tonalità ora ruvide ed aspre, ora tenere ed intimiste. La chitarra elettrica segue con velocità ed eleganza gli avvenimenti sonori per tornare al riff iniziale mentre si svolgono drammaticamente gli ultimi momenti della vita di Aqualung.
She’s a poor man’s rich girl
and she’ll do it for a song.
She’s a rich man stealer
but her favour’s good and strong:
She’s the Robin Hood of Highgate
helps the poor man get along.
Si prosegue con “Cross-eyed Mary, storia di Maria la Strabica una “prostituta Robin Hood” attratta per un breve momento dal nostro Aqualung. Introdotto da un fluato trillato e vibrante il brano prende il via su un arrangiamento rugginoso, la voce è aspra quasi sguaiata, il ritmo spezzato, il flauto prende ad essere arpeggiato con respiro e fonemi. Avvertiamo tutta la rabbia del narratore, tenuta a freno solo dalla poesia del materiale che racconta. Martin “Lancelot” Barre dà spazio e leggerezza alla struttura narrativa del brano, sostenuto dalle tastiere magistrali e roventi di Evans.
Le tre tracce che seguono, Cheap Day Return, Mother Goose e Wond’ring Aloud, sono di fatto un trittico acustico da ascoltare insieme. Il primo, un brano-solo per chitarra acustica, fu scritto da Anderson mentre era in stazione ad aspettare il treno che lo avrebbe portato dal padre malato; nel secondo, un collage di immagini senza apparente filo conduttore se non quello dell’io narrante, Aqualung, che ci invita ad associazioni spontanee, legate ad impressioni, brevi ricordi, volti appena suggeriti dalla memoria con la chitarra che esegue elaborate variazioni soliste. In seguito Anderson userà spesso questa tecnica nelle sue liriche. Chitarra acustica e canto anche nella terza ma con l’aggiunta del piano di Evans insieme con l’orchestra diretta da David Palmer. Una perla davvero!
Up to me, testo sardonico, malinconico e limpido ritratto del proletariato urbano fatto con pochi tratti nitidi e mano sicura. Brano sotto il marchio di fabbrica Jethro Tull: voce istrionica, un misto di folk e rock, blues e flauto, semitoni acustici ed elettrici, in una miscela unica che li ha resi celebri nel mondo.
People what have you done:
locked Him in His golden cage.
Made Him bend to your religion
Him resurrected from the grave
from the grave.
He is the god of nothing
if that’s all that you can see.
You are the god of everything
He’s inside you and me.
My God, potente e satirica invettiva di Anderson contro l’ipocrisia della Chiesa cattolica, secondo lui ormai troppo lontana dalla passione di Cristo, divenuto soltanto simbolo della manipolazione sociale. Il brano, che rimane il più richiesto durante le loro esibizioni dal vivo, è una mini suite di sette minuti aperto da una intro acustica livida e mistica, chitarra, piano e voce. Sopraggiunge la chitarra hard-rock di Martin Barre a squarciare l’aria satura di odore di incenso e da lì è un rincorrersi continuo di mutamenti di ritmi, assoli di flauto al vetriolo e la voce di Ian che dopo aver lasciato il recitato iniziale urla tutta la sua rabbia contro la chiesa, la urla persino nel flauto che prende fuoco e sfavilla inarrestabile sino alla fine. Intrecci di cori psichedelici arricchiscono la struttura gotica del brano e ne aumentano la suggestione senza togliere potenza al messaggio lirico.
Hymn 43, può essere considerato la coda di My God, sia perchè ne ricalca il tema di critica all’ipocrisia di certi cristiani che si dicono seguaci ma poi nella loro vita si comportano in maniera totalmente difforme dalle regola della loro religione. E’ un azzardo definirlo con l’etichetta progressive, piuttosto segue l’impianto tradizionale rock-blues, ma ha il pregio di stemperare la tensione accumulata con My God e di essere molto bello.
Slipstream, breve ed intenso momento di chitarra acustica e voce, sul tema della morte. L’orchestra di David Palmer andrà ad arricchire la parte finale del brano che terminerà sulla nota straziante di sirene notturne.
He feels the piston scraping
steam breaking on his brow
old Charlie stole the handle and
the train won’t stop going
no way to slow down.
Locomotive Breath, inizio di pianoforte di sapore prima classico poi sempre più jazzato… tre accordi che acquistano sempre più valore, che emozionano; la chitarra inizia a soffiare e le bielle finalmente si muovono portando il gigante d’acciaio fuori dalla stazione ad iniziare la sua corsa… ritmi di marcia, batteria che si arresta improvvisa e riprende, canto nasale e ferrigno, flauto incantevole che lascia scintille sulla strada ferrata… Nel respiro della locomotiva si racchiude quello della vita che corre inesorabilmente verso la sua conclusione e che neppure il Guidatore può fermare…
Chiude il disco Wind up: l’inizio quieto ed agreste, si trasforma nella seconda parte in qualcosa di più movimentato, più stracciato, per terminare in una ripresa dell’incipit ad accompagnare le parole di commiato di Ian Anderson con la sua chitarra acustica: “He’s not the kind you have to wind up on Sundays”.
I Jethro Tull hanno venduto più di 60 milioni di album in tutto il mondo.
Nel dicembre del 2007 Mr. Anderson è stato insignito del titolo di Membro dell’Impero Britannico.