
Hugh Hopper | Hopper Tunity Box (1977)
Dopo gli esperimenti di 1984, il ritorno di Hugh Hopper ad un tipico jazz-rock canterburiano.
“Hopper Tunity Box per molto tempo è stato il mio album preferito fra quelli su cui ho suonato (dopo Rock Bottom). Ho fatto molto lavoro di preparazione – composizione, arrangiamento, provare le parti che avrei dovuto sovraincidere con basso, chitarra e strumenti a fiato. Per quanto riguarda il riscontro commerciale, quando Hopper Tunity Box è stato pubblicato i Soft Machine erano un gruppo quasi dimenticato – solo alcuni fan (per la maggior parte in Europa) provavano ancora interesse a seguire quello che gli ex-membri facevano. Io sono stato fortunato, dato che giornalisti come Steve Lake al Melody Maker erano ancora interessati, e quindi ho avuto delle buone recensioni. Sfortunatamente la Compendium, l’etichetta norvegese che a quel tempo ha pubblicato il disco, era un’impresa alquanto dilettantesca che di lì a poco è fallita, quindi non c’è stata alcuna vera promozione, né un seguito commerciale.”
Questi sono i ricordi di Hugh Hopper del 1977, l’anno della registrazione del suo secondo album solista. In questa intervista emergono chiaramente alcune caratteristiche della Scena di Canterbury, una musica di alta qualità ma di nicchia, povera, che per farsi pubblicare deve addirittura ricorrere ad una etichetta norvegese dilettantesca. Anche il più grande gruppo della scena, i Soft Machine, già nel 1977, quindi dopo appena nove anni dal loro esordio e dopo avere contribuito a scrivere la storia del rock, è già dimenticato, tranne che per una piccola nicchia di alcuni fan europei. C’è inoltre il riconoscimento al capolavoro di Wyatt Rock Bottom, riconosciuto come il miglior album dove Hopper abbia mai suonato (era comunque evidente).
Sono passati quattro anni dall’abbandono dei Soft Machine (dopo Six) e tre dalla pubblicazione dell’eccellente album sperimentale 1984. Hopper torna ad un sound più simile al tipico jazz-rock canterburiano e lo fa con una grande personalità che rende i suoi brani facilmente riconoscibili da quelli degli altri esponenti della scena di Canterbury. Questa, ad essere sinceri, è stata sempre una caratteristica di Hopper, il suo modo di suonare il basso, le distorsioni, le sue “increspature” (fuzz in inglese) sono state sempre peculiarità della sua musica.
Anche il titolo è strano e originale, ecco cosa dice Hopper sul suo significato:”E’ una battuta, un gioco di parole. Hopper Tunity = opportunity. Negli anni sessanta in UK c’era un terribile show televisivo chiamato Opportunity Knocks, uno “spettacolo per talenti” dove dei dilettanti avevano la possibilità di essere visti su un’emittente nazionale e di vincere dei premi, quindi Hopper Tunity Box suona come quella frase (il senso è che è apparsa una possibilità, una chance ha bussato alla porta). Hopper Tunity Box può anche significare una scatola (box) piena di pezzi (tunes) di Hopper, e questo è il motivo per cui ho chiesto a Dave Ace, che ha realizzato la copertina originale, di dare alla copertina l’aspetto di una scatola.”
La formazione è tipica della Scena di Canterbury, Elton Dean, Dave Stewart, Marc Charig, Gary Windo, Nigel Morris e Mike Travis.
L’album inizia nel migliore dei modi, tre brani collegati tra loro, di incredibile forza ed energia. Hopper Tunity Box, Miniluv e Gnat Prong rappresentano il meglio di quello che Hopper potesse fare. Nel primo brano il basso di Hopper è sempre in primissimo piano con un andamento cupo ed in crescendo, Miniluv riprende il brano del precedente album 1984 ma con più forza e con una performance eccelsa di Gary Windo al sax, Gnat Prong è un brano incredibile, energico, velocissimo, uno dei brani più dinamici mai scritti da Hopper.
Dopo questo fantastico “trittico” Hopper torno al suo amato jazz-rock con vari brani tra cui The Lonely Sea and the Sky dedicata a John Coltrane o Lonely Woman cover di un brano di Ornette Coleman.
Hopper Tunity Box è un album importante della lunga storia musicale di Hugh Hopper, musicista che ha suonato in una quantità enorme di dischi di grande valore. Tra i suoi album solisti è certamente il migliore, secondo solo a 1984, unanimamente ritenuto il capolavoro di Hopper.