
Guru Guru | UFO (1970)
Le fragorose improvvisazioni spazio-lisergiche del primo album dei Guru Guru, un rumoroso "disco volante" con cui il Krautrock decolla proclamando all'umanità tutti gli intenti del nuovo rock tedesco.
Nel marasma sociale della Germania degli anni Settanta, i Guru Guru sono stati una delle band storiche della scena tedesca, ancora oggi in carriera. La loro avventura inizia nel lontano 1967, quando il futuro leader Marcus “Mani” Neumeier (batteria) e Uli Trepte (basso) formano l’ossatura del trio di supporto alla pianista svizzera Irene Schweizer, con la quale suonano per qualche anno a Zurigo. Nel 1968, il due amici decidono tuttavia di rendersi autonomi, rientrano in Germania e, affascinati dalle nuove mode psichedeliche, allestiscono con il chitarrista e vocalist svizzero Eddi Nägel i Guru Guru Groove, partecipando poi lo stesso anno al primo celebre Festival di Essen, dove si fanno notare per le loro estreme performance jazz. In questo periodo, il loro repertorio è altamente politicizzato, anche grazie alla presenza nei loro concerti della Lega tedesca degli studenti socialisti, che recitano ad alta voce i loro testi sovversivi, dando vita a spettacolari performance di anarchia sonora. In questo periodo, la band si sposta inoltre in una serie di comuni nei villaggi dell’Odenwald, vivendo assieme ad amici, conoscenti e musicisti, con il batterista Mani Neumeier che diventa l’indiscusso guru del gruppo: intorno a lui ruotano, infatti, sia tutte le esperienze lisergiche che quelle musicali (lo ricordiamo, peraltro, anche come l’inventore del cosiddetto tamburo gonfiabile “Mani-Tom”).

Guru Guru
Nei primi mesi del 1970, il loro cantante decide di abbandonare la band e viene rimpiazzato da Ax Gernich, il primo chitarrista degli Agitation Free. Pochi mesi più tardi, con questa formazione e col nome accorciato in Guru Guru, la band registra l’album di debutto UFO, un “disco volante” pubblicato dalla leggendaria etichetta “Ohr” di Rolf-Ulrich Kaiser. Sulle note di copertina, sopra al ritratto del bassista Uli Trepte con l’orecchio ingrandito a richiamare il logo della label, compare perfino uno strano proclama che, sotto lo pseudonimo di P. Hinten, riferisce: “Presto gli Ufo atterreranno sulla Terra e l’umanità incontrerà cervelli ed usanze più forti. Prepariamoci per questo“.
Già la grande apertura di Stone In fornisce una dichiarazione veritiera degli intenti musicali della band in termini di psichedelia rock, con il suo ringhioso riverbero ed i suoi ritmi maniacali, un incubo psicotropo che porta all’estremo i Pink Floyd di A Saucerful of Secrets: un intimidatorio basso frantuma poi tutto ciò che trova nel suo percorso, mentre un rantolio vocale tenta spesso di emergere in superficie solo per essere inghiottito quasi completamente dal turbinio di questo bruciante rumore cosmico.
Girl Call s’accende in maniera più lenta, crescendo a poco a poco fino a costruire un climax hendrixiano che sembra fissare l’atmosfera sul fuoco: si tratta di un brano brutale, fragorosamente pesante, con un opprimente senso di tensione e di pericolo che pietrifica l’ascoltatore come lo sguardo di Medusa. Altrove, alle nostre orecchie non va meglio, trovandosi quasi a dover chiedere lo stato d’emergenza: il violento delitto sonoro di Next Time See You At The Dalai Lhama è, infatti, il pezzo più stoner-rock dell’intero repertorio, che serve principalmente come un richiamo alle prime due tracce con maggiore energia, costruendosi su un riff ripetitivo e alienante. E’ decisamente “roba che disintonizza la testa“, come scrive a ragione Julian Cope nel suo “Krautrocksampler”.
La seconda metà dell’album è la più inquietante, con il trio che sfrutta a dovere tutto il suo potenziale lisergico: la title-track Ufo è un esercizio di decomposizione psichedelica, che porta un’aura di orrore e mistero traendo molti suggerimenti dalla musica concreta e sfidando la struttura della canzone tradizionale con robusta convinzione; non è presente nessuna melodia, solo un tripudio di rumori barbari che si dispiegano in una crescente tensione di feedback, pulsante elettronica, allarmi di clacson e schegge psichedeliche, che neanche da vicino possono assomigliare ad un brano nel senso convenzionale del termine.
Lo stesso discorso può valere almeno per la prima metà di Der LSD March che si dipana in una jam aliena ed elettrica ma, nel secondo tempo, questa energia ritrova i suoi binari, scorrendo in maniera più ordinata seppur lasciando comunque spazio ad improvvisazioni più “umane”. Il tutto si conclude forse un po’ troppo in fretta, ma avvolge l’album in maniera perversamente materna, portando l’ascoltatore in un’area (finalmente) protetta.
UFO è uno dei primi esempi di space-rock e rock psichedelico fusi insieme in quella che è la ricetta base del Krautrock, anche se sicuramente i Guru Guru non sono la band più rappresentativa di questa scena: essi paiono, infatti, focalizzarsi maggiormente sulla base delle jam session di Jimi Hendrix, in un rock prevalentemente sperimentale e strumentale; la batteria di Neumeier splende lungo tutto il tragitto vinilico, in un vortice cosmico di bassi roboanti e feedback di chitarre, con queste ultime che possono perfino portare alla mente le alienanti dinamiche dei Velvet Underground. In definitiva, il proclama alieno posto sulle note di copertine può essere interpretato come un invito all’evoluzione o una minaccia, ma una cosa rimane certa: il grunge primordiale dei Guru Guru, dopo più di quarantacinque anni di attesa, deve ancora oggi essere compreso dagli abitanti della Terra.