
Gong | Camembert Electrique (1971)
Disco stimolante ed ingombrante, difficile ed impegnativo, riassume bene inquietudini e gioie degli anni Settanta
La storia dei Gong inizia nel 1967 quando la polizia blocca il vulcanico musicista australiano Daevid Allen, già fondatore dei Soft Machine, alla frontiera francese per certe irregolarità nel suo passaporto. Egli dovrà abbandonare il gruppo di Robert Wyatt, ma non si perderà d’animo e insieme alla poetessa Gilli Smyth, a cui è legato sentimentalmente, inizierà a lavorare ad un progetto musicale nuovo.
Insieme con Didier Malherbe, sassofonista e flautista di origine francese, Christian Tritsch, chitarrista e bassista e al batterista Rachid Houari, i Gong esordirono nel 1969 per l’etichetta Byg, con Magick Brother/Mystic Sister, episodio trascurabile della loro storia musicale.
Dua anni ancora, 1971, e finalmente il primo vero capolavoro dei Gong, Camembert Electrique, uno dei dischi più originali e importanti di tutti i tempi. Un disco letteralmente fuori di testa, in cui Allen mescola e rimescola tutte, ma proprio tutte, le tendenze di quel momento musicale nel suo cervello fulminato, creando un genere che si rinuncia ad etichettare.
Registrato durante le fasi di luna piena – maggio, giugno e settembre – nel magico panorama della Normandia, nella formazione compariranno oltre ad egli stesso e Gilli Smyth, anche Didier Malherbe, Christian Tritsch e il leggendario Pip Pyle.
Questo album sarà il preludio della famosissima trilogia di “Radio Gnome Invisible” e ne contiene gli elementi basilari, un primo assaggio insomma, e proprio per questo fresco e spassoso ricco di ironia quasi “zappiana”. Difficile inserire i Gong solo nella scena di “Canterbury” per il loro stile assolutamente inconfondibile, e soprattutto per quella mentalità aperta a qualsiasi influenza e completamente anticommerciale.
Radio Gnome, primo brano dell’album, ci introduce nella demenziale filosofia di Allen: Planet Gong, un pianeta popolato da omini verdi (Pot Head Pixies), che si spostano viaggiando su Teiere Volanti (Flyng Teapot), con una forma anarchica di autogoverno (Floating Anarchy) e naturalmente con una radio pirata (Radio Gnome); in cima a tutto questo guazzabuglio, i grandi saggi (Octave Doctors), come supervisori. Il clima è allegro e goliardico, c’è tanta voglia di sballarsi e il sound irresistibile ti prende per la giacchetta.
You Can’t Kill Me: la voce “acida” di Allen intesse una cantilena mantrica di filastrocche infantili, cui si contrappone quella della fidanzata, che sospira desideri appagati. Robusta la struttura ritmica con Pip Pyle in piena forma.
I’ve Bin Stone Before, si cambia completamente musica: Allen continua a straparlare, a volte quasi sguaiato, su una corposa tessitura d’organo di chiesa, mentre il sax incespica, si rialza, giganteggia e barbuglia logorroico verso un finale chiassoso dove la voce angelica di Smyth si mescola al fraseggiare psichedelico della band.
Mister Long Shanks/O Mother/I Am Your Fantasy: per questo brano mi piace partire dalla fine dove finalmente possiamo sentire Gilli Smyth dare corpo ad immagini sonore di ricchissima sensualità, su un drappeggio di musica spaziale trasparente ed onirica. In questo brano si mescolano generi diversi, dalla cantilena penetrante di un asilo infantile, ad una danza sgangherata ed incalzante, ma la parte di Gilli Smyth è quella più riuscita.
Dynamite: I Am Your Animal: è il brano senz’altro più difficile: una potente batteria “pestata” con forza fornisce una trama ritmica ripetitiva e sincopata su cui si rincorrono chitarra e voce che a sua volta ripete pervicacemente “Dynamite”; astratti di voce lisergica della Smyth in un surreale frammentato di jazz; eppoi di nuovo quel mantra infantile, che quasi soccombe dietro un muro di elettronica, per poi tornare ossessivo… che fatica..!!
Wet Cheese Delirium e Squeezing Sponges Over Policemen’s Heads: impasti di voce, ed effetti elettronici che fanno da preludio al brano Fohat Digs Holes In Space soprattutto strumentale con pochi inserti vocali. L’introduzione è classica ed imponente, d’ispirazione crimsoniana, la base ritmica acquista via via una struttura ipnotica e geometrica con spazialità conturbanti di elettronica e voce (quella di Smyth) e a poco a poco emerge un blues con un sax fulminato e al limite del rictus nervoso e si va per un assolo di chitarra verso il “chiasso” finale.
Tried So Hard: una canzone normale, una vera e propria “canzone” senza distorsioni, un po’ malinconica e un po’ funk, con voci tutto miele e cannabis, con qualche flash hendrixiano, qualche tonalità minacciosa, ma mai veramente preoccupante. La Smyth a volte vaga inquieta, ma nel complesso intensa ed eterea. Qualche momento di hard jazz, poi il tracciato torna sereno e circolare.
Tropical Fish: Selene chiude il disco ed è un tripudio di trasformazioni: tornano tutte le fasi che abbiamo ascoltato finora, dalle filastrocche, agli spazi cinerei, dall’hard jazz ai riff rockettati, dai deliqui lisergici di Allen ai candidi orgasmi vocali della Smyth, non si butta via nulla, si ricompone, anzi, tutto il materiale in un melange dove tornano persino alcune frasi You Can’t Kill Me e Dynatime: I Am Your Animal, un girotondo che sembra affermare, senza che ve ne sia bisogno, l’unità intrinseca di quest’opera riuscita e rocciosa.
Le poche parole stralunate di Gnome the second ci salutano nell’ultima traccia fisica del disco.
“Qualsiasi cosa i Gong significhino per te, è molto probabile che significhino per qualcun altro l’esatto opposto, il che è molto soddisfacente per me. Sono orgoglioso dello spirito libero dei Gong, che non è mai stato compromesso per ragioni commerciali, giuste o sbagliate che fossero”. Così Allen sintetizza la filosofia ultima del suo gruppo, che dopo Camembert Electrique vivrà anni di intensa creatività. Oggi rimane una musica stimolante e ingombrante (anche al millesimo riascolto), difficile ed impegnativa, che riassume bene inquietudini e gioie di quell’epoca i cui sogni poi naufragheranno con dolore nelle profonde trasformazioni degli anni novanta.