
Godspeed You! Black Emperor | Slow Riot for New Zerø Kanada (1999)
I giganti dell'anarchia; pessimismo e speranza, decadenza e solennità, spirito rivoluzionario e scenari post-industriali
“Tutta la musica è politica. O si fa musica che piace al Re e la sua corte o si fa musica per i servi al fuori delle mura”
Questa è da sempre l’dea dei Godspeed You! Black Emperor, veri giganti del post-rock più anarchico, della musica che non sentirete mai su MTV, non fatta per i “Re”, per i potenti, per le case discografiche, bensì una musica che vuole essere un inno alla libertà, al vero desiderio di sovvertire l’esistente da altri considerato immutabile. Qualunque scelta può essere politica, decidere di fare grande musica che esula da ogni logica commerciale è una coraggiosa presa di posizione che ribadisce con forza il proprio essere diversi dalle greggi adoranti idoli passeggeri creati ad arte da chi ha la possibilità di indirizzare i gusti delle masse. In questo i canadesi Godspeed You! Black Emperor si distinguono anche dai movimenti di protesta giovanile che anni fa osannavano musicisti mediocri come Manu Chau, non differenziandosi affatto dai loro coetanei dai quali pensavano di essere tanto diversi.
Dopo il fantastico esordio di F#A#Infinity tornano con un EP di ventotto minuti di appena due brani, due grandiose opere post-rock che meritano un posto di riguardo tra i migliori lavori dei Mogwai, dei Bark Psychosis e di tutti i migliori gruppi del genere, uno dei più innovativi e originali degli ultimi vent’anni. Il loro animo anarchico è sempre più vivo che mai come si può vedere anche dall’interno della copertina dove viene mostrato come creare una molotov, ma indipendentemente da questo la musica è a dir poco splendida. Il primo brano Moya, dal nome del chitarrista, cupo, oscuro, maledettamente claustrofobico, è una grande opera per violini e chitarra che cresce sempre più sino al liberatorio finale che concilia post-rock, musica classica moderna e musica da film. Forse nessuno è mai riuscito a mettere insieme atmosfere tanto nere e deprimenti, quasi da scenario post-atomico, con una solennità tanto manifesta.
Nei diciassette minuti di BBF3, dopo un iniziale parlato di Blaise Bailey (si, proprio il terzo cantante degli Iron Maiden) che critica il governo americano e che recita una poesia, si giunge ad un secondo crescendo vertiginoso, dove violini e chitarra dipingono un desolante affresco della moderna società post-industriale modellata dai novelli profeti dell’ultracapitalismo contemporaneo che fa credere ai suoi sudditi di abitare nel migliore dei mondi possibili, riuscendo a tener nascosto a gran parte di loro di vivere in condizioni da paese del terzo mondo. Anche qui i Godspeed You! Black Emperor si mostrano come veri giganti del movimento anarchico e sopratutto delle musica degli ultimi due decenni.