
Glenn Branca | Symphony No.2 (The Peak Of The Sacred) (1982)
La Seconda Sinfonia del geniale compositore minimalista/massimalista
Abbiamo già abbondantemente scritto su Glenn Branca nelle recensioni del suo capolavoro “The Ascension” (1981) e della monumentale Symphony No. 1. Non staremo quindi a ripeterci sul suo ruolo di compositore d’avanguardia, di musicista situato nella scomoda posizione di mezzo, in precario equilibrio tra accademia e musica rock, in quella terra di nessuno dove è difficile essere riconosciuti come parte di se, come simile, sia da un ambiente che dall’altro.

Glenn Branca
Passano pochissimi mesi e Branca è pronto per la Seconda Sinfonia, registrata nella chiesa di Santa Maria di New York nel Maggio del 1982, ma pubblicata solo dieci anni dopo. Stavolta ci troviamo di fronte un ensemble composto da undici chitarre modificate, basso, percussioni e batteria in metallo. Branca non sembra avere grandissime novità da proporre rispetto alla Sinfonia No. 1, ma accentua di molto il suono delle percussioni e sembra quasi viglia contenere la furia impetuosa dei suoi esordi, come se preferisse la staticità, una potenza controllata al pregresso dinamismo. Sempre con il fidato Lee Ranaldo dei Sonic Youth, aggiunge tra i suoi collaboratori l’eccentrico batterista Stefan Weisser (Z’ev), che in quegli anni creava esperimenti estremi e cacofonici con percussioni in metallo; ad esempio il suo album d’esordio “Salts Of Heavy Metal” (1980) e sopratutto in “Elemental Music“(1981).

Glenn Branca

Z’Ev alle prese con le sue percussioni alternative
Il Primo Movimento (Slow Mass – 22 minuti) rimanda moltissimo alla potenza della Prima Sinfonia, ma inizia con violente percussioni che vengono sommerse dai tipici muri sonori che crescono lentamente ma in modo inesorabile. Le percussioni ritornano nella seconda metà del movimento con incedere quasi militaresco sino a liberarsi nel tipico crescendo branchiano che alcuni gruppi post-rock faranno proprio. Il Secondo Movimento (Radioactive Poltergeist Kitchen – 19 minuti) è per la prima metà una grande composizione di musica concreta, suonata – senza alcun compromesso – da Z’Ev. Solo nella seconda parte irrompono le chitarre ma sono sempre le percussioni a dettare la linea; grande violenza che sembra però volersi contenere senza mai esplodere. Il Terzo Movimento (Melodrama And Nuclear Physics In The Global Theater – 18 minuti) accentua i dettami minimalisti (droni, ripetizioni) e sembra avanzare stancamente fino al minuto quattordici dove finalmente prende un’imponenza e un vigore che giustificano l’ascolto; stavolta le percussioni sembrano salvare il brano e ricordano i folli esordi del giovanissimo percussionista Klaus Schulze del primo album dei Tangerine Dream. Il Quarto Movimento (Sacred Field – 11 inuti ) non mette in campo idee nuove ma gioca ancora sulla violenza dei muri di suono mentre il Quinto (In The Late 20th Century The Impossible Becomes Possible), anomalo vista la brevissima durata – appena due minuti – altera le timbriche della chitarra alla ricerca di suoni alternativi e sembra essere un breve studio alla ricerca di futuri sviluppi.