
Glenn Branca | Symphony No.1 (Tonal Plexus) (1982)
La prima Sinfonia di Glenn Branca, il compositore per chitarre rock.
Glenn Branca è sempre stato un musicista posizionato a metà strada tra il ruolo di compositore d’avanguardia e quello del musicista rock. Allievo e discepolo dei maestri del minimalismo americano quali La Monte Young, Terry Riley, Philip Glass e Steve Reich ha sempre dovuto lottare contro pregiudizi e feroci critiche. La sua posizione era certamete scomoda, troppo accademico per gli appassionati del rock e troppo “politicamente scorretto” per gli accademici. In effetti Branca cercava di scardinare tutti i limiti imposti dai rigidi schemi dell’avangurdia, coscente del fatto che chi vuole fare vera avanguardia non dovrebbe avere limiti. Anche John Cage ebbe modo di criticarlo, gli diede persino del fascista (lo fece anche Luciano Berio rivolto a tutti i minimalisti) per l’eccessiva rigidità delle sue composizioni, anche se ne riconobbe la carica innovatrice. Dopo avere creato il suo album più noto, The Ascension (1981), vero monumento del massimalismo suonato con un formazione rock classica (chitarre, basso e batteria), tenta l’avvicinamento verso un formato differente, la Sinfonia, come sempre a metà strada tra il rock e l’accademia. L’esperimento piacerà a Branca che lo riproporrà svariate volte nei decenni successivi, ad oggi si contano ben sedici Sinfonie (non di tutte sono disponibili registrazioni). Ecco come appariva al compositore americano John Adams l’ensemble del giovane Branca in una delle sue prime esibizioni dal vivo della Prima Sinfonia: “L’evento di Branca che ascoltai al Japan Center Theatre di San Francisco nel 1981 fu una delle sue sinfonie per chitarra. Il gruppo non sembrava molto diverso da migliaia di altri gruppi rock indipendenti o alternativi di quel periodo: ragazzi in jeans e magliette consunte che si davano da fare con i cavi mantenendo quella tipica espressione distratta dei musicisti rock. Branca, magro e smilzo, con un abbigliamento da negozio di seconda mano e una pettinatura a banana stile James Dean, dirigeva con la sua chitarra. Le accordature strappavano l’ascoltatore dal loro mondo confortante e familiare, le corde metalliche delle chitarre brillavano e fremevano di una risonanza completamente nuova, una cosa al contempo aliena e, almeno per me, intensamente stimolante. Quando le batterie entrarono in azione il teatro pulsò di un’energia martellante, ma a differenza di un normale concerto rock superamplificato, questo era pieno di eventi acustici inaspettati e sorprendenti. I tappi per le orecchie non erano semplicemente “consigliati”, erano indispensabili. I muri di suono creati da complessi di chitarre elettriche accordate in maniera particolare, erano amplificati a volumi tanto alti da far impazzire. Branca si era addentrato nel mondo dell’accordatura alternativa, usando rapporti pitagorici che, una volta amplificati ad alti livelli, creavano spettri acustici, artefatti sonori impossibili da ottenere in condizioni di esibizione normali”.
La Prima Sinfonia, registrata dal vivo nel luglio del 1981 presso il Performing Garage di New York, è divisa in quattro lunghi movimenti; vi suonano tredici chitarre accordate tutte in modo alternativo, tra queste quelle dei due Sonic Youth, Lee Ranaldo e Thurston Moore. Il risultato è la creazione di travolgenti muri di suono che si formano e accrescono di minuto in minuto, come ad esempio nel primo movimento, costruito su un Mi Maggiore che cresce sempre più con l’ausilio di trombe e corni per trovare fine nel devastante e impetuoso finale.
Il secondo movimento riprende una sorta di minimalismo tribale dove le percussioni prendono il sopravvento sulle chitarre, mentre il terzo, ancora in Mi maggiore, è un opprimente muro di suono, debitore di La Monte Young, uno dei brani più tragici e claustrofobici scritti da Branca; il finale percussivo è una sorta di discesa negli inferi senza possibilità di salvezza. Il quarto movimento, segnato da un drone di poche note che si ripetono ossessivamente, è massimalismo allo stato puro. Le chitarre tanto straziate da essere quasi irriconoscibili lasciano spazio al crescendo finale dominato dai fiati. Energia e genio allo stato puro.