
Garybaldi | Astrolabio (1973)
Ispirato connubio di progressive italiano e rock hendrixiano
Con una criptica copertina bluastra (di certo però meno espressiva della precedente, disegnata da Guido Crepax) e due lunghi brani, uno per lato (parlando di LP), i Garybaldi pubblicano nel fortunato anno 1973 (quello di “Dark side of the moon” dei Pink Floyd e “Larks’ Tongues in Aspic” dei King Crimson, per intenderci) il loro affascinante e ispirato album “Astrolabio”. Due lunghe suite, come spesso accadeva per band della scena progressive e psichedelica, a partire dai cosmici Ash Ra Tempel (che nello stesso anno pubblicavano il loro ottimo “Join Inn”), con le quali il chitarrista leader Bambi Fossati (classe 1949) presenta al pubblico un lavoro curato e musicalmente dinamico.
La line-up è composta dunque da Bambi Fossati alla chitarra e voce, Sandro Serra al basso e voce, Maurizio Cassinelli alla batteria e voce e, per l’occasione, Lio Marchi alle tastiere. Prodotto da Maurizio Salvadori, “Astrolabio” si distacca da “Nuda” per un motivo principale: mentre nel noto e apprezzato album del 1972 la band aveva realizzato un’opera completamente progressive, nel loro personale stile, in “Astrolabio” il genovese Fossati si concede spazi più consoni all’improvvisazione con strutture compositive fluide, dilatate e coinvolgenti, espressamente rivolte a uno stile più vibrante e vagamente hendrixiano. Il maggior pregio di quest’album, infatti, è proprio l’indiscussa bravura sullo strumento che Bambi Fossati dimostra con estrema naturalezza ed energia, vera chicca di riferimento per ogni chitarrista.
Il primo brano, “Madre di cose perdute”, inizia tra suoni bucolici di uccelli (stile “More” dei Pink Floyd) e note di chitarra semplici e suggestive, perfette a introdurre una delle liriche più belle ed evocative che siano state composte in quel periodo: viaggi onirici, candidi nocchieri in una dimensione senza tempo, isole lontane, eterei gabbiani, notti d’incanto e visioni da cui non ci si vuole svegliare. Nella sua relativa brevità, il testo si innalza per efficacia e creatività in una sublime invocazione poetica sapientemente in simbiosi con la musica in cui è compenetrata. Mellotron, batteria, basso e chitarra, tutti leggiadri e sontuosi nel contempo, seguono il sommesso cantato ricamando adeguati scorci sonori, mentre Fossati aggiunge veloci passaggi chitarristici tra una strofa e l’altra come fossero ali che repentinamente sbattono nel loro movimento aereo. Decisamente agile e potente la parte solistica alla chitarra nella sua sezione centrale, prima di terminare, dopo un totale di venti minuti abbondanti, in cadenze nuovamente rilassate e sfumate.
“Sette?” appare da subito per ciò che è: musica pura al 100% a cavallo tra freak’n’rock e rockblues hendrixiano, sorretto da un arrangiamento solido e accattivante. Registrato on-stage, il brano – tendenzialmente anarcoide nei testi – parla del ‘sistema’ (come lo stesso cantante precisa all’inizio) e rappresenta una bomba sonora in cui Bambi Fossati offre il meglio di sé in assoli e passaggi da brivido, tecnicamente magistrali, capaci di catturare l’ascoltatore e di immergerlo in una composizione viva che ricorda nel sound i fasti dei “Taste” di Rory Gallagher, nonché comunque i gloriosi momenti degli storici festival, da Woodstock all’isola di Wight.
Innegabilmente intrigante la parte di basso che fa da introduzione al brano e ne regge lo scheletro nella sua intera durata, assieme ai brillanti tocchi di batteria che si stagliano in perfetta sincronia ritmica, fino a giungere a una sequenza d’organo e tastiere, nell’ultima parte, squisitamente progressive nelle modulazioni, per poi concludere proprio con questa (dopo poco più di 21 minuti totali) prima dei brevi applausi finali.
“Astrolabio” rappresenta Indubbiamente uno degli migliori album in assoluto dei Garybaldi, testimone indiscusso del loro talento e delle loro capacità musicali, dandoci la possibilità di poter considerare il gruppo guidato da Fossati tra le migliori e più veraci band di progressive italico.
– Fabio T.