
Faust | Faust IV (1973)
Il gruppo Krautrock per definizione, il loro album migliore dopo l'esordio
Con il loro quarto disco i Faust sembrano volerci mandare un messaggio e, nel farlo, ce lo mandano con estrema forza e chiarezza. Il messaggio è questo: “Il Krautrock siamo noi!”. Credo che proprio questa convinzione li abbia spinti alla scelta, un pò presuntuosa, di chiamare il loro primo brano proprio Krautrock. Sembrano quasi volersi impossessare del genere per diventarne i padri nobili.
In effetti, anche se il Krautrock ha avuto vari esponenti di altissimo livello (Neu, Popol Vuh, Amon Duul II, Tangerine Dream, ecc), se proprio dovessi scegliere un solo gruppo che ha sintetizzato al meglio le caratteristiche, lo sperimentalismo, lo spontaneismo di questo movimento musicale non potrei fare a meno di scegliere i Faust. Sono loro la sintesi perfetta del krautrock, loro ne sono l’emblema. Questo i Faust lo sapevano, per tale motivo solo loro potevano chiamare un loro brano Krautrock: i Popol Vuh, gli Amon Duul, per quanto siano gruppi immensi, non avrebbero potuto farlo senza farne un abuso.
Dopo i primi due album, Faust (1971) e So Far (1972), i Faust cominciano a farsi notare più in Inghilterra che in Germania. Proprio per questo riescono a sottoscrivere un contratto con la neo nascente Virgin con la quale pubblicano il loro terzo album The Faust Tapes (1973), inaudito collage di registrazioni private e si apprestano a registrare il loro quarto album, quello che diventerà il loro secondo capolavoro, inferiore soltanto solo all’incredibile esordio. Una curiosità è che divisero lo studio di registrazione con quel Mike Olfield che proprio in quei giorni stava terminando il suo primo disco, lo storico Tubular Bells.
Faust IV è un disco che ha poco a che fare con i precedenti album dei Faust. Come sempre i Faust non ripropongo mai suoni già sentiti, tutti i loro dischi sono diversi l’uno dall’altro. La cosa che si nota è una certa influenza, in alcuni brani, della psichedelia inglese, in particolare i Pink Floyd di Barrett e di UmmaGumma. I brani rimanenti sono, invece, unici e non risentono di alcuna influenza, anzi sono stati loro a influenzare il rock successivo.
Si parte con la celeberrima Krautrock, brano emblema stesso del genere, un mix tra suite elettronica, viaggio lisergico, rumori cosmici, destrutturazione, incubo sonoro. Dodici minuti folli con cui i Faust si auto-celebrano e si eleggono a padri del rock tedesco.
Si prosegue con la Barrettiana The Sad Skinhead, che descrive, ironicamente, uno Skinhead che sogna di andare in giro a potere picchiare qualcuno. E’ il brano più leggero del disco, semplice ed immediato.
Uno dei brani migliori è la splendida ballad psichedelica Jennifer, lenta, ipnotica, che ha come protagonista le note ridondanti del basso che accompagnano un tenue arpeggio di chitarra. E’ un brano cupo, triste, quasi deprimente ma che resta impresso nella mente già da un primo ascolto. Il finale elettronico stravolge le atmosfere iniziali portandoci in ambienti più consoni ai Faust, sino al piano finale, via di mezzo tra Zappa e i Residents.
Altro brano indimenticabile è Just a Second (Starts Like That!), che richiama certamente Ummagumma (al basso sembra di sentire Waters) o gli Ash Ra Tempel, ma con risultati elevatissimi, è psichedelia pura senza compromessi. Di questo brano esistono due versioni, quella originale, più breve e una più lunga, pubblicata molti anni dopo. Questa è quella che consiglio, quella che ritengo la versione definitiva.
Collage (quasi zappiano) di pezzi diversi è invece Giggly Smile, brano interessante che riprende il loro secondo album.
Laüft è un brano che può definirsi storico. Inizia con una chitarra classica che prosegue fino a metà per trasformarsi in un ambient ante-litteram, prima ancora che questo genere fosse creato da Brian Eno. Ovviamente all’interno delle sonorità ambient, calme e rilassate si odono, seppur per pochi secondi, le distorsioni elettroniche tipiche dei Faust.It’s a bit of pain chiude l’album con un ritmo quasi folk ma contaminato e stravolto dalla onnipresente elettronica faustiana.
Faust IV ha segnato la storia del rock, le sue sonorità hanno influenzato musicisti per i successivi vent’anni ed oltre. Album sottovalutatissimo e, considerata la sua grandezza, da considerarsi quasi sconosciuto. Ma questo fa parte, purtroppo, della storia stessa dei Faust, immensi ma di nicchia, conosciuti più dagli addetti ai lavori che dal pubblico. Ma questa non è una colpa da tributare a loro, semmai alla miopia della case discografiche.
Non credo che nella storia sia mai esistito un gruppo (in particolare in quest’album) che abbia avuto la capacità di miscelare, a livelli tanto alti, rock, elettronica, folk, ambient, noise. Che un solo gruppo abbia potuto avere un’influenza tale, considerato anche il fatto che nessuno dei componenti avesse enormi capacità tecniche, è quasi incredibile. Però è così, i loro figli (seppur abbiano padri diversi) possono chiamarsi punk, new wave, industrial, noise, ambient. E potrei anche aver dimenticato qualcosa.