
Family | Family Entertainment (1969)
Il periodo dell’esordio dei Family fu un momento importante per la musica rock inglese: tante band e tante idee si affacciavano sullo scenario d’Oltremanica, e per avere successo i gruppi dovevano produrre materiale davvero buono e suonare con entusiasmo senza pari anche se naturalmente il music-business non andava come sempre troppo per il sottile ed il succeso arrivava senz’altro prima a quelle formazioni che riuscivano a fare musica orecchiabile e commerciale.
Tra i primi a pensare/creare rock progressive nella Gran bretagna della fine degli anni Sessanta, la band dei Family si formò a Leicester nel 1967 dall’incontro tra Charlie Whitney, chitarrista del gruppo The Farinas e Roger Chapman. Il loro debutto si svolse nel famoso Marquee Club nel mese di aprile di quello stesso anno che vide anche la pubblicazione nell’ottobre del loro primo singolo Scene Through The Eye Of A Lens / Gypsy Woman, prodotto da Jimmy Miller e pubblicato dalla Liberty Records, che però non ebbe successo. Qualsiasi definizione del loro stile molto personale, in realtà, sarebbe carente o parzialmente inesatta, perchè i Family riescono a fondere nella loro musica importanti riferimenti psichedelici con forti componenti di folk acido, jazz, blues dove su tutto si staglia la voce forte ed espressiva del frontman Roger Chapman. La line-up iniziale era formata oltrechè da lui anche da John “Charlie” Whitney, chitarra e organo; Jim King, voce, sassofono, pianoforte; Ric Grech, basso, voce e violino; Rob Townsend, batteria e percussioni e tuttavia questo gruppo iniziale subirà molti cambiamenti con John Wetton, per esempio, che transiterà per un breve periodo prima di approdare ai King Crimson; John Poli Palmer e Jim Cregan, che rimarranno nel gruppo per un po’ di tempo dopo aver lasciato i Blossom Toes e poi ancora Harry Ovenall, John Weider, Nicky Hopkins, Tony Ashton… Rich Grech formerà poi insieme a Steve Winwood ex Traffic, Eric Clapton e Ginger Baker ex Cream, il supergruppo Blind Faith. Roger Chapman e Charlie Whitney formeranno, una volta sciolti i Family, un altro gruppo gli Streetwalkers che riuscirà a suonare buona musica fino alla fine degli anni Settanta.
Il periodo dell’esordio dei Family fu un momento importante per la musica rock inglese: tante band e tante idee si affacciavano sullo scenario d’Oltremanica, e per avere successo i gruppi dovevano produrre materiale davvero buono e suonare con entusiasmo senza pari anche se naturalmente il music-business non andava come sempre troppo per il sottile ed il succeso arrivava senz’altro prima a quelle formazioni che riuscivano a fare musica orecchiabile e commerciale. I Family, tuttavia, non si lasciarono andare mai alla deriva del mercantilismo o della prevedibilità e hanno consegnato ai posteri un ricco carnet di brani ancora oggi avvincenti; Roger Chapman era un cantante straordinario, dalla voce molto particolare e senza vie di mezzo, da molti osannato, da molti disprezzato, e in ogni caso a quella voce ci si doveva prima fare l’orecchio se si voleva poi ascoltare gli album della formazione con godimento. John Whitney e Roger Chapman hanno scritto la maggior parte delle canzoni della band, molte delle quali sono considerate ancora oggi dei classici e comunque tutte denotano un’intelligenza vivace e un buona creatività anche dopo così tanti anni.
Rock progressivo ed essenziale come quello che in quel periodo componevano i Cream, i Traffic , i Fairport Convention, i Wishbone Ash, gli Spirito, i Quicksilver Messenger Service, The Moody Blues, i Crosby Stills, Nash & Young, i Deep Purple, gli Uriah Heep e altri che proprio in quegli anni stavano cercando di farsi un nome; nella musica dei Family e soprattutto nell’album Family Entertainment (Reprise, 1969) non c’è una sola virgola inutile o superflua, forse meno ricco di fantasia del precedente album di debutto Music in a Doll’s House dell’anno precedente, più asciutto e maturo con due facciate molto diverse tra loro, in cui la prima è più incalzante e ossessiva, la seconda più orientata alla melodia e al ritmo; in ogni caso gli undici brani che compongono il disco sono ben lontani dalle formule di maggiore gradimento in quegli anni (rock sinfonico, barocco, dark), ed in questo forse troviamo il motivo dello scarso successo di questo piccolo capolavoro nascosto.
The Weaver’s Answer: attacco sincopato per l’opener dell’album dove abbiamo il primo assaggio delle ambizioni da tenore di Chapman con il suo originale “vibrato” vocale rafforzato dal sax di King che porta tutta la band ad un ribollente crescendo. Si passa poi a Observations from a Hill, brano che meglio incarna le novità del progressive, impostato sulla chitarra di John Whitney e sul violino di Ric Grech, dove la band mostra tutta la sua maturità nella corposa melodia; si passa alla trascinante Hung up down, introdotta da basso e batteria e con il violino di Ric Grech ancora protagonista insieme ai fiati che riempiono con grande efficacia la scena sonora del brano. Unico brano strumentale dell’album, Summer ’67 omaggio all’estate dell’amore inglese in cui sbocciò il magico sogno della psichedelia ed infatti è un brano ricco di esotismi orientali che avevamo già apprezzato nel disco di esordio della band; si prosegue con How-Hi-the-Li che nella lirica contiene una critica molto consapevole circa il destino del mondo tra le mani di politici non sempre all’altezza.
Aria di rock ‘n’ roll per la gradevolissima Second Generation Woman che introduce il bel brano From Past Archives con un impianto strumentale progressive che introdotto da un’armonica propone una miscela classica di archi con profonde venature jazz orchestrate dai fiati su cui si staglia nettamente la voce di Chapman in questo brano davvero ispirata; anche Dim inizia con un bell’attacco di armonica, breve ballata vaudeville con un bel cantato roco e sensuale. Processions inizia con note delicate ed emozionanti, altra ballata un po’ malinconica in cui un bambino fantastica della propria vita futura godendosi una bella giornata di mare; Face in the Cloud brano nostalgico con echi preziosi di sonorità orientali ed indiane che riverberano nel pianoforte struggente e crepuscolare fino all’epilogo di Emotions rock appassionato impostato su pianoforte e voci con Roger Chapman in polpe su crescendi strumentali di grande raffinatezza stilistica; lunga coda che si tuffa nelle campane che concludono.
Uno scenario musicale, dunque, di grande raffinatezza dove i toni psichedelici espressi nel primo album si trasformano via via in uno stile più schietto e progressive ricco di arrangiamenti maturi e misurate ambizioni, raffinato ed istintivo ad un tempo. Seguirà per il gruppo un periodo controverso con molte defezioni: Jim King e Ric Grech lasceranno, dando una spallata notevole alla solidità della band ed al sound che li caratterizzava, che da lì in poi si inasprirà ancora di più in controtendenza rispetto ai molti gruppi che sceglieranno invece di ammiccare ad un pubblico senza troppe pretese.