
Eloy | Inside (1973)
Progressive spaziale dalla Germania
Nel triangolo hard-rock di Hannover con Scorpions e Jane, gli Eloy si formano nel 1969 prendendo il loro nome dal romanzo di Herbert George Wells “La Macchina del Tempo”, dove gli Eloi – senza y – sono creature gentili e pacifiche, che conducono una vita dedita al divertimento. Il membro fondatore è il talentuoso chitarrista Frank Bornemann, che con Eric Schriever (cantante), Helmuth Draht (batteria, flauto), Wolfgang Stöcker (basso) e Manfred Wieczorke (organo) sforna originariamente un hard-rock molto debitore del sound inglese. L’esordio con l’album omonimo (Philips, 1971) non è però dei più felici e porta anzitempo a un rapido divorzio dalla label e inevitabili contrasti all’interno del gruppo. Frank Bornemann non è, infatti, troppo felice della direzione politica che la band sta intraprendendo, sostenendo che affari di stato e musica non dovessero interagire. Dopo due anni di pausa, Frank Bornemann si auto-promuove cantante e chiama Fritz Randow a sostituire l’amico Helmuth Draht alla batteria, dopo che questi rimane seriamente ferito in un incidente stradale.

Eloy
Con questa rimaneggiata formazione si definisce anche il nuovo stile degli Eloy. Inside sembra un’opera uscita dalla mente di un’altra band, uno space-rock progressivo in cui l’organo è l’unica tastiera suonata, rendendo l’atmosfera molto più sinistra. Edito dalla Harvest nel 1973 con la copertina di Michael Narten, il disco suona così come una sorta di incrocio ancestrale tra gli Hawkwind e i primi Pink Floyd; nel suo cuore, Inside pulsa infatti di una combinazione vincente di canzoni prog-sinfoniche, qualche jam strumentale per alleggerire l’atmosfera e testi alquanto significativi. In tutto questo, la chitarra di Bornemann rimane sempre eterea e impalpabile ed è l’organista onnipresente Wieczorke a dominare il disco coi suoi umori variabili.
Si inizia con Land Of Nobody, che copre oltre 17 minuti dell’album con la sua livrea sonora d’evidente richiamo a Camel, Pink Floyd e Deep Purple; partendo piuttosto sinistramente con un suono cupo, si sviluppa ben presto in un classico prog dominato dal gioco dell’organo, che lotta con la chitarra per avere l’attenzione dell’ascoltatore. Degna di nota è la sezione ritmica di Randow e Stöcker: difatti, quando la voce di Bornemann entra in scena si incastra alla perfezione con i groove minacciosi del basso, creando un’atmosfera annichilente.
La fluttuante e malinconica Inside è la firma del nuovo stile, che suona come la traccia di apertura in formato tascabile, mentre Future City risulta, d’altrocanto, un brano atipico per gli Eloy, dallo sviluppo prevalentemente acustico e con un tripudio di percussioni e chitarre; in questo caso, si comprende alla perfezione il motivo per cui la stampa dell’epoca paragona Bornemann a un “Ian Anderson senza flauto” (e lo stesso Frank affermerà di aver voluto imitare il famoso flautista in quel periodo).
La psichedelica fusion di Up And Down non viene cantata da Frank Bornemann ma da Manfred Wieczorke, in una narrazione in tedesco che è indubbiamente la parte più debole della canzone. Qui finirebbe l’album originariamente concepito in 4 tracce, ma da allora è stato rimasterizzato e ampliato con due nuovi brani: Daybreak, una breve traccia dominata da una chitarra hard-rock e da un organo sinuoso, e On the Road, che presenta pressochè gli stessi ingredienti amalgamati in chiave più blues.
Inside è un album di progressive molto piacevole, non prettamente Krautrock nel senso puristico del termine; anche l’etichetta Harvest ne rappresenta un indicatore in tal senso. Suona piuttosto come un album registrato in Inghilterra, se non fosse per il forte accento tedesco del leader Bornemann e per il gelo teutonico dell’organo minaccioso di Wieczorke.