
Dr. Strangely Strange | Heavy Petting (1970)
Folk progressivo dalla Terra delle fate e dei folletti
Con un curioso nome ispirato a un personaggio dei fumetti Marvel, i Dr. Strangely Strange si formano nel 1967 per mezzo di Tim Booth (voce, chitarra) e Ivan Pawle (basso, tastiere), che incontrano a Dublino il polistrumentista e aspirante pittore Tim Goulding e la percussionista Caroline Greville, iniziando poi a convivere in una casa di proprietà della fidanzata di Goulding, la corista Annie “Orphan” Mohan. Dopo un buon esordio per la Island con Kip of the Serenes (1969), gli irlandesi Dr. Strangely Strange passano quindi alla Vertigo grazie al patrocinio del mecenate del folk Joe Boyd. In fase di promozione del primo album, la band arruola il batterista Neil Hopwood, con cui nel 1970 dà infine vita a Heavy Petting, un disco caratterizzato da una musica acustica miscelata a tinte esotiche con un retrogusto acido, mai troppo stravagante ma neanche troppo fedele all’ortodossia del folk: ai testi surreali delle canzoni fa infatti eco un caleidoscopico melange di stili, in cui il blues-rock viene imbastardito con il ragtime, il soul e il country, tra tradizioni recenti e madrigali medievali, temi sacri e canti profani. La splendida copertina del disco è una delle prime opere di Roger Dean, che diventerà più noto alla storia per la sua prolifica collaborazione con gli Yes. Dal punto di vista musicale, spicca invece la folta schiera di ospiti, fra cui risaltano i nomi del batterista Dave Mattacks (Fairport Convention) e dei due giovanissimi Brush Shiels e Gary Moore (Skid Row, Thin Lizzy), rispettivamente al basso e alla chitarra.

Dr. Strangely Strange
Già nella pungente cavatina di Ballad of the Wasps si capisce come l’impalcatura folk sia piuttosto traballante, sospinta da venti stregati capaci di mutare le persone in allegoriche vespe, mentre nell’idillio rurale di Summer Breeze, nella liturgia profana di Kilmanoyadd Stomp e in quella sacra di I Will Lift up My Eyes la formula non cambia, tra influssi alla Incredible String Band e reconditi esorcismi flautistici. Con Sign on My Mind siamo poi dinanzi alla vera pietra angolare dell’album, impreziosita da un arazzo di strumenti acustici (mandolino, chitarra, violino), nonché da altri mezzi capaci di dare più spessore come il flauto, che offre una calma e una serenità davvero straordinaria, tenuta sempre sotto controllo dalla placida batteria di Dave Mattacks.
Gave My Love an Apple nasce, d’altrocanto, sul ritmo country del “Tennessee Waltz”, salvo poi rapidamente trasformarsi in una sbarazzina jam session grazie alla spinta di Gary Moore. Una stravagante bipolarità che percuote in seguito anche Jove Was at Home, che dalle sue terre native acustiche s’innalza poi nei cieli di un sacro “Hosanna in Excelsis” nella parte finale. Successivamente, dopo l’arcigna litania strumentale di When Adam Delved e la cinerea ballata folk di Ashling – piacevoli ma non impermeabili alla memoria – troviamo l’estroso blues-rock di Mary Malone of Moscow e il commiato organistico di Goodnight My Friends, con cui “Ite, missa est”: la messa è finita e i Dr. Strangely Strange si congedano così dalla storia.
L’avventura di questo atipico quintetto irlandese dura molto poco. Nello stesso anno d’uscita di Heavy Petting la band inizia a cadere a pezzi, con Goulding che si ritira in un monastero buddista; giusto in tempo per un concerto con Al Stewart al “Drury Lane Theatre” di Londra, a maggio del 1971 i Dr. Strangely Strange avevano già cessato di esistere.