
David Bowie | The Next Day (2013)
The Next Day o la prossima vita? David Bowie se ne è andato. Di lui restano indelebili autostrade musicali.
David Bowie era come il tempo; più cercavi di immortalarne un attimo e quell’attimo era già diventato il successivo. Imperscrutabile come l’oscurità dell’universo, la sua figura di artista era una stella che brillava di luce propria in una oscurità senza limiti. Il Duca Bianco, così lo chiamavamo…. ma il bianco è un colore che si lascia intravedere, è il colore del candore, il colore dell’anima. Il Duca David, però, non aveva solo un’anima! Nella sua vita di artista ha saputo coniugare diverse personalità, ha saputo miscelare diversi generi, ha saputo creare personaggi che ha indossato secondo il tempo. Non ha mai seguito correnti, anzi è sempre andato controcorrente, ma è andato anche con tutti, sia artisticamente che in amore. Una sorta di Dott. Jekyll e Mr. Hyde del rock, anzi il Dorian Gray del rock. La sua è ora un’icona idolatrata anche da uomini e donne che non ti aspetti. Primi Ministri, attori, politici, persino il Vaticano, segno dei tempi che cambiano, segno di quel tempo che David non ha mai fermato, anzi, ha contribuito a cambiare.
In questi giorni, nei nostri discorsi anche di addetti ai lavori, ci siamo chiesti quale potrà essere la sua eredità, non quella economicamente immensa che ha lasciato, ma quella artistica e, soprattutto, umana. Già, perché dietro la maschera di un Pierrot che ben conosciamo c’era l’artista, il creatore, la mente ,…… il genio di un uomo che ora è verbo del rock’n’roll; anzi, verbo che si è fatto musica rock, pop, soul, jazz e tanti generi ancora.
Uno come lui non potrà mai essere dimenticato, come non lo saranno alcuni artisti con i quali ha diviso il suo tempo, Andy, Lou, e tanti altri la cui lista occuperebbe molto spazio. Già, lo spazio, l’alieno, l’uomo che cadde sulla terra e seppe trasformarla in un paradiso musicale unico dove il tempo non è scandito, dove viaggiare è inconsapevolezza dell’ignoto ma non della mèta, come quando la sua mente geniale partorì Ziggy Stardust e tanti altri personaggi.
Il 10 gennaio 2016 sarà ricordato come il giorno in cui un alieno dalle sembianze umane ritornò nello spazio, così come sarà ricordato il 27 ottobre 2013 come il giorno in cui finimmo di aspettare l’uomo della New York sotterranea. Strano a dirsi come Bowie e Reed abbiano poi avuto tante cose in comune …. Ma si sa l’arte va oltre il The Next Day, il prossimo giorno che tardò ben dieci anni ad arrivare.
Uscito quasi di nascosto, volutamente non pubblicizzato ma pubblicato in occasione del 66° compleanno del Duca, è un vero gioiello della musica con la M maiuscola, un lavoro splendido dove ci trovi il vecchio ma anche il nuovo David.
Non è un album da ascoltarsi così, ci vuole quiete, tranquillità ma soprattutto orecchie per assaporarne ogni nota, ogni suono, ogni solco (anche se il supporto è in digitale). Ascoltare quest’album vuol dire esistere, sentire quei suoni vuol dire viaggiare nelle note, nelle parole, nelle sfumature.
The Next Day è uno di quei lavori che non puoi non apprezzare se conosci i Velvet, Lou Reed. Come Velvet Goldmine che ha in comune tanto anche con l’Oscar Wilde più amato. Due anni di intenso e duro lavoro in compagnia del fidatissimo Tony Visconti per quattordici brani (nella versione deluxe diciassette) che stupiscono, che ti lasciano di stucco per la perfezione quasi maniacale dell’intero album.
Già dalla picture si capisce l’essenza di questo immenso artista; The Next Day oscura la copertina dell’altro illustre capolavoro Heroes sfruttandola per il prossimo futuro.
Il brano che dà il titolo all’intero album mi ha entusiasmato sin da subito, rock e ritmo che ci mancava da troppo tempo (dieci anni sono tanti); e senti subito che quel muro berlinese tanto caro a Bowie è il muro sonoro che non potevi non aspettarti, anzi, che solo un genio come Bowie poteva partorire.
E Berlino continui a sentirla anche nel successivo Dirty Boys dove a farla da padrone sono i decadenti echi del sax bowiano, quel sax spesso impugnato come uno sorta di strumento….del piacere….musicale, anticipazione di quel The stars (are out tonight) che se pur lontano anni luce dalle rarefatte atmosfere bowiane è orecchiabile si, ma rock allo stesso tempo, compresa quella voce meccanica di Bowie fatta spuntare non si sa da dove.
Love is lost è semplicemente splendida tanto da riportarmi indietro a Lodger, un album aritmico che propone anche un reggae che si affaccia per la prima volta nelle idee sonore di Bowie. Where are we now? è sempre più Berlino, decadente nelle sonorità, anzi nostalgicamente decadente perché il Bowie che conosciamo amava la decadenza. Questo di certo il brano più struggente dell’intero lavoro, apprezzato più del precedente Reality sia dalla critica che da comune gente mortale (come noi) alla quale David lascia questo meraviglioso pezzo.
E’ con Valentine’s day che il disco cambia tono assumendo una sonorità più dura e lo conferma anche la successiva If you can see me che colpisce subito per l’innesto delle chitarre e la voce di Bowie sempre più tagliente.
E se questo lavoro ci richiama alla mente quel lontano 1979 anno dell’uscita di Lodger, anche I’d rather be higt affonda le radici in quel muro che pur rappresentando la guerra fredda, sempre guerra è stata. Infatti il testo parla di un militare che ritorna dalla guerra fortemente scosso dalle atrocità che ha vissuto in prima persona.
Boss of me è funky allo stato puro e ricorda un po’ alla lontana Diamonds Dog come Valentine’s day ne ricorda Hunky Dory; ed è qui tutta la maestria del Duca capace di fondere e confondere con intelligenza per trarre poi capolavori assoluti facendoti immergere in una sorta di macchina del tempo interstellare. E, infatti, con la successiva Dancing out in Space ritorna il Bowie degli anni ’80 che con How does the grass grow? ti fa fermare e mettere magari su un altro piatto Let’s dance… poi dicono che Bowie era mortale …. Ma non era lui che vestiva i panni di Cristo in uno dei video che hanno contribuito a lanciare THE NEXT DAY?
Con (You will) Set the world of fire ritorna ancora una volta il Bowie degli anni ’90, gli anni della piena maturità artistica, un altro di quei momenti magici e di massimo splendore musicale del geniale Duca Bianco. La successiva You feel so lonely you could die è una vera e propria passione umana che prelude ad Heat, drammatica ma stupendamente calda.
E’ questo lo splendido mosaico di The next day, capolavoro tra i tanti che Bowie ha saputo regalarci. Molti lo individuarono come disco evento perché uscito dopo ben dieci anni di attesa, alcuni rimasero ammutoliti, altri, come sempre accade, non ne evidenziarono l’importanza.
Ora David Bowie non è più tra noi e tutti, ma proprio tutti ne parlano. Se l’uomo non è più qui resta comunque immortale la presenza di uno degli artisti più influenti a cavallo tra i due secoli. Di lui si può dire tanto, ancora molto se ne parlerà, fiumi di inchiostro scorreranno per idolatrare l’uomo venuto dalle stelle e ritornato sulla sua black star per colpa di un cancro. Noi che lo abbiamo sempre amato per la sua poliedricità così come abbiamo amato il Lou Reed legato a David da stima artistica e non solo, vogliamo ricordarlo con le parole proprio di Where are we now.
Ho dovuto prendere il treno
Da Potzdamer Platz
Non avresti mai creduto
Che avrei potuto farlo,
Così vicino alla fine
Seduto al Dschungel
Di Nurnberger Strasse
Un uomo perso nel tempo vicino a KaDeWe
Così vicino alla fine
Dove siamo ora?
Dove siamo ora?
Nel momento che conosci?
Conosci, conosci
Ventimila persone
Attraversano il Bose Brucke
Le loro dita sono incrociate
Giusto nel caso in cui …
Vicini alla fine
Dove siamo ora?
Dove siamo ora?
Buon viaggio David. Ben tornato nello spazio!