
David Bowie | Lodger (1979)
L'atto conclusivo della trilogia berlinese

David Bowie
Lodger, registrato nei Mountain Studios, di Montreux nelle pause del tour Stage che portò Bowie e i suoi musicisti in giro per quasi tutto il 1978, e terminato ai Record Plant Studios di New York nel marzo del 1979, copertina dell’artista pop inglese Derek Boshier, in apparenza, è l’album più accessibile tra quelli che compongono la Trilogia di Berlino e questo è dovuto al fatto che non ci sono brani strumentali ma una manciata di canzoni pop. Composto anche questo insieme con Brian Eno, Lodger è un album nodoso e contorto per quel suo modo di incorporare le tendenze sperimentali di un pop d’avanguardia nella forma canzone, un procedimento creativo che non troviamo negli altri due album della trilogia. D.J., Look Back in Anger, e Boys Keep Swinging, ad esempio, hanno una forte struttura melodica che viene però sovvertita da dissonanze dure e metalliche, mentre il resto del disco si divide tra pop d’avanguardia e lunghe parti strumentali in stile ambient. Lodger ha una struttura spigolosa e minimalista e tuttavia delle tre resta l’opera con un impatto emotivo più immediato, che i fans dell’artista sono riusciti ad interpretare meglio: questo album non amplia certo i confini del rock come Low o Heroes, ma utilizza quelle stesse idee in maniera forse più efficace. Robert Fripp passerà la mano ad Adrian Belew, che poi lo raggiungerà nei King Crimson, e la crew si amplia fino a comprendere anche Sean Mayes, pianoforte, Simon House, violino e mandolino, Roger Powell, sintetizzatore.
Molti i temi trattati nei testi: da Fantastic Voyage, dove il pericolo nucleare viene affrontato con sarcasmo, a African Night Flight, ricordo di un viaggio in Kenya dove partecipò ad uno stravagante safari; da Yassassin, che in lingua turca significa “lunga vita”, arrangiato su un ritmo reggae un po’ stralunato, nel quale ritorna sugli episodi di intolleranza razzista nei confronti dei suoi vicini di casa turchi a Berlino, a Red Sails, con una base da Kosmische Muzik ed uno strano ritornello. Repetition affronta con serietà il tema delle violenze domestiche anche se è un marito fallito a parlare; in D.J. polemizza con i disc jockey, nuovi satrapi delle classifiche, mentre tornano le allucinazioni venefiche del periodo depresso in Look Back In Anger. In Red Money, Bowie rivisita Sister Midnight, un vecchio pezzo scritto per Iggy Pop in cui ripropone la tematica del cambiamento; in Move On, infine, che sembra sia nato girando al contrario i nastri di All The Young Dudes, il tema del viaggio nasconde in realtà una sorta di elegia dell’assenza.
Dopo la Trilogia di Berlino Bowie continuerà a comporre musica ma con alterna fortuna e non riuscirà a raggiungere di nuovo quei toni elevati concepiti durante quel particolare percorso artistico: in quell’esperienza confluirono le vicende umane irripetibili che egli visse in quella decadente e claustrofobica Berlino della Guerra Fredda: disperazione profonda e profonda amicizia, quella con Iggy Pop, la disintossicazione e la difficile ricostruzione di se stesso in un clima di anonimato esistenziale che paradossalmente lo aiutò piuttosto che demolirlo, restituendogli quella pace perduta in tanti anni di sovraesposizione mediatica.