
David Bowie | Low (1977)
Il primo album della grandiosa trilogia berlinese
Nel 1976 David Bowie lascia Los Angeles che definisce “il bubbone più repellente della feccia dell’umanità” per trasferirsi in Europa, in Svizzera sulle colline a Nord del Lago di Ginevra. E’ afflitto da seri problemi di salute per l’eccessivo consumo di cocaina, tali da far temere per la sua sanità mentale e lui cerca, attraverso la pittura, di estraniarsi un po’ dall’ambiente musicale che lo circonda. Dipinge e fotografa qualsiasi cosa gli capiti a tiro e frequenta molte gallerie d’arte sia a Ginevra che a Berlino: ed è proprio la scena artistica di quella città ad incuriosirlo maggiormente tanto da decidere di trasferirsi in un appartamento a Schöneberg, nella Berlino Ovest di quel tempo, insieme con l’amico Iggy Pop. Erano gli anni della Guerra Fredda; nelle strade di una città devastata, isolata, fredda, “agonizzante e senza nessuna speranza di riscatto”, David Bowie vive in uno stato di esaltazione ed euforia: era finalmente arrivato il momento di abbandonare le droghe e tentare di rivitalizzare la propria immagine pubblica, offuscata da alcune sventate dichiarazioni sul nazismo, smentite solo a metà e ampiamente diffuse dai giornali scandalistici dell’epoca: per attuare questo programma decide di iniziare a collaborare con Brian Eno, ex tastierista dei Roxy Music, che in quel periodo stava lavorando intorno ad alcuni progetti ispirati alla musica cosmica e minimalista.
Durante quello stesso periodo Bowie è determinato ad aiutare il suo amico Iggy Pop, anch’egli purtroppo invischiato in problemi di droghe ed in crisi di creatività, scrivendo insieme con lui il suo primo album del quale cura anche la produzione: nasce The Idiot ed il successivo Lust for Life che forniscono il materiale per una lunga tournée dei due artisti in Inghilterra, Europa ed USA in cui Bowie, forse per rimpolpare anche il suo conto in banca decisamente indebolito da una vita senza freni, vestirà i panni di un anonimo tastierista. Low, primo album della cosiddetta Trilogia di Berlino, in realtà era già pronto, ma uscirà solo verso la fine del 1977, dopo i dischi di Iggy Pop: in questo lavoro egli si afferma come compositore e musicista concettuale, coraggiosamente proiettato verso una musica più astratta, verso un lirismo simbolico e non essenziale, un minimalismo scarno ed ermetico. Il disco si piazzò secondo in classifica in Gran Bretagna e negli anni, nonostante la critica non fosse mai stata del tutto favorevole, diventerà un vero e proprio oggetto di culto e l’artista d’avanguardia Philip Glass, ad esempio, lo definirà “un’opera geniale di incomparabile bellezza“.
Low fu registrato in Francia, vicino Parigi, allo Chateau d’Herouville, e rinchiusa in quel castello, attrezzatissimo monumento del suono, troviamo una line-up molto nutrita: David Bowie, voce, basso sintetizzato, sax, violoncello, xilofono, chitarra, armonica, pianoforte, vibrafono, percussioni, sintetizzatori, suoni ambientali, produzione; Brian Eno, sintetizzatori, chitarre trattate, voce in Sound and Vision; Carlos Alomar, chitarra; Dennis Davis, batteria, percussioni; Ricky Gardiner, chitarra; Eduard Meyer, violoncello in Art Decade, ingegnere del suono; George Murray, basso; Roy Young, piano, organo Farfisa; Iggy Pop, cori in What in the World; Mary Visconti, cori in Sound and Vision; Peter & Paul, piano e ARP in Subterraneans; Tony Visconti, produzione; Lauren Thibault, ingegnere del suono. Il disco verrà ultimato all’Hansa Tonstudio 2 di Berlino Ovest. Diciamo subito che l’apporto di Brian Eno fu determinante soprattutto perchè artefice di quelle “Strategie Oblique”, vere “tavole” della creatività che contenevano istruzioni casuali come “onora il tuo errore come intenzione nascosta“, “enfatizza le pecche“, “usa personale non qualificato” e via dicendo, destinate a ridefinire il linguaggio musicale di Bowie, a rinnovarlo dall’interno dei suoi contenuti semantici: lui stesso chiarirà ulteriormente questo processo definendolo “astrazione della comunicazione” che userà da quel momento in poi nei suoi lavori successivi.
Bowie aveva cominciato a scrivere brani strumentali già nel 1975, quando gli era stata affidata la colonna sonora del film The Man Who Fell To Earth, interpretato da lui stesso e rimasta incompiuta ed inedita; in quell’occasione aveva cercato motivi d’ispirazione nella musica cosmica di Brian Eno, naturale dunque che i due musicisti cercassero di collaborare. Fu essenziale poi il lavoro che svolse il produttore Tony Visconti, a cui si deve la creazione di un nuovo apparecchio, l’Harmonizer, che avrebbe donato alla batteria una timbrica assolutamente nuova e futurista, in seguito molto richiesta da band e compositori di tutti i tipi. Low, “depresso” questa la chiave di lettura dell’intero album, composto principalmente di suoni, rarefatti ed eterei, ispirati alla musica cosmica di matrice mitteleuropea mescolati, nella prima facciata alla ritmica multicolore di Alomar-Murray-Davies.
Le liriche (laddove comprensibili e non linguaggio solo apparente, dal contenuto semantico nullo) rispecchiano l’intima sofferenza del musicista: in Always Crashing In The Same Car, brano folk non tradizionale con un uso importante dell’elettronica, la sua voce, innaturale ed impressionista, esprime un fatalismo molto vicino all’atarassia; oppure in Breaking Glass, dove, nelle spire di un ritmo funk cibernetico e marziale, egli nasconde frammenti di vita ordinariamente burrascosa; l’urgente bisogno di aiuto e sostegno umano in Be My Wife viene bene interpretato da una chitarra rabbiosa che si muove in uno spazio rock aspro e spigoloso; la oggettiva difficoltà della rinascita esistenziale, la tristezza e la malinconia del fallimento personale, prendono corpo in Sound and vision, si trasfigurano in un’algida atmosfera elettronica con la bellissima batteria di Dennis Davis molto effettata e il coro di Mary Visconti; ancora inquietudine, infine, ed insicurezza in What in the World, brano pop-rock più tradizionale, con la voce di Iggy Pop ai cori di accompagnamento. Velocissimo e fresco, l’opener solo strumentale Speed of Life, dall’irrestistibile e trascinante melodica rock aperta da un effetto curioso, l’assolvenza, che crea in chi ascolta la sensazione di essere capitato nel mezzo di qualcosa già iniziato, fa il paio con l’altro brano strumentale, A New Career in a New Town, che chiude invece la prima facciata e che la dice tutta sulla svolta che Bowie vuole imprimere alla sua vita e nel quale si sentono maggiori le influenze dei Kraftwerk nella miscela originale di R&B ed elettronica.
“Warszawa descrive Varsavia e il senso di desolazione che avevo provato visitando la città.” Così Bowie racconta in due parole il senso del brano di apertura della seconda facciata, tutta strumentale (se si escludono alcune frasi e frammenti di testi senza senso apparente) ed in cui è Brian Eno ad interpretare il ruolo di protagonista: Bowie voleva “un pezzo molto lento” che avesse “un sentimento quasi religioso” e allora ecco i sintetizzatori intonare una lamentazione funebre, una salmodia triste e monocorde nella quale ci si accorge di aver abbandonato del tutto il narrato della prima parte, di esserci addentrati in un territorio sconosciuto della mente.
Il viaggio immaginario prosegue nella Berlino Ovest di Art Decade una città prigioniera all’interno di un blocco, quello sovietico, che non lasciava speranze di redenzione, una città culturalmente agonizzante. Pregevole la parte di violoncello scritta da Tony Visconti ed eseguita da Eduard Meyer. Weeping Wall: ed eccolo il famoso muro di Berlino, grigio ed angosciante, in un brano anch’esso strumentale, questa volta del solo Bowie. Breve parte cantata, ma sono solo onomatopee, suoni evocativi senza significati reconditi; infine Subterraneans, ultimo brano di Low, anch’esso strumentale e unico pezzo che risale alla colonna sonora dell’Uomo che cadde sulla Terra mai pubblicata, dà l’impressione, appunto di un frammento incompleto, con un doloroso assolo di sassofono che ben rappresenta i cittadini dimenticati di Berlino Est.