
David Bowie | Hunky Dory (1971)
Hunky Dory è opera intensa e raffinata, arricchita dagli arrangiamenti di Mick Ronson e dal pianoforte di Rick Wakeman, dove si intuisce il grande lavoro che l’artista deve aver compiuto sulle liriche, che non troveranno eguali per profondità ed incisività nella sua opera successiva
“Ho iniziato a sentirmi a mio agio come cantautore con Hunky Dory. Sentivo davvero che avevo capito come scrivere canzoni a quel punto.” (David Bowie)
“Time may change me, but I can’t trace time”. (Changes – Hunky Dory)

David Bowie
«Come una stella cometa in cielo, David Bowie è apparso per poi sparire negli spazi siderali. Ziggy Stardust ha abbandonato la scena luminosa del pop (…) All’Odeon di Londra la gente piangeva, mentre la scia tracciata da ‘Starman’ splendeva lassù tra le stelle, ben visibile a tutti gli uomini: addio, David Bowie!». “Ciao 2001” del 29 luglio 1973 scriverà queste parole per commemorare la dipartita di Zyggy Stardust avvenuta nello storico concerto del 3 luglio 1973 all’Hammersmith Odeon di Londra, dove David Bowie si vide costretto ad “uccidere” il suo alter ego che ormai si era impossessato di lui e della sua popolarità a tal punto che ormai il pubblico confondeva il personaggio con l’artista vero e proprio. In realtà il successo straordinario ottenuto dal cantante in quegli anni veniva da lontano: Hunky Dory venne rilasciato il 17 dicembre 1971 per l’etichetta RCA, è il quarto album in studio del musicista inglese, 11 brani tutti composti da Bowie ad eccezione di Fill Your Heart di Rose/Williams.
Registrato ai Trident Studios di Londra, fu prodotto da Ken Scott e dallo stesso David Bowie che oltre a cantare suonerà anche chitarre, piano e sax, accompagnato da una line-up di tutto rispetto: Mick Ronson, chitarra, mellotron, percussioni e vocals; Trevor Bolder, basso, tromba; Mick “Woody” Woodmansey, batteria; Rick Wakeman, piano. La foto di copertina scattata da Brian Ward ci mostra un primo piano dell’artista con uno sguardo malinconico, i lunghi capelli biondi tra le mani. George Underwood ricolorò, poi, la foto quasi a suggerire un manifesto dei tempi del cinema muto; l’immagine dell’artista risultò particolarmente enfatizzata e il disco si presentava in maniera molto vistosa sugli scaffali dei negozi specializzati.

David Bowie
La casa discografica tuttavia, non riuscì a promuovere efficacemente l’album, sia per una certa sfiducia nelle doti del musicista, sia perché egli stesso era già a buon punto con la registrazione dell’album successivo e del successivo cambio della propria immagine e quindi Hunky Dory (il cui significato in slang è pressappoco ‘Tutto bene’) fallì l’ingresso in classifica. Ad ogni modo, il disco trovò molti estimatori sia in UK che negli USA e alcune riviste specializzate ne parlarono molto bene (per esempio Rock Magazine: “Hunky Dory è meglio di una settimana dallo strizzacervelli”; oppure il New York Times: “Una band sorprendentemente affiatata, guidata dalla figura carismatica del chitarrista Mick Ronson, che riesce a farti girare la testa con la sua intensità e a placarti il cuore con la sua delicatezza”).
Durante il febbraio del 1971 Bowie fu impegnato in un lungo tour promozionale negli Stati Uniti ed ebbe la possibilità di entrare in contatto con la realtà artistica e culturale di New York che lo influenzò notevolmente soprattutto nella stesura di tutta la seconda facciata del disco che contiene una serie di omaggi ad artisti americani come Andy Warhol, Bob Dylan, Lou Reed e i Velvet Underground e lui stesso affermò molti anni dopo: “L’intero album Hunky Dory rifletteva il mio recente entusiasmo per questo nuovo continente che mi si era spalancato davanti”.
Hunky Dory è opera intensa e raffinata, arricchita dagli arrangiamenti di Mick Ronson e dal pianoforte di Rick Wakeman, dove si intuisce il grande lavoro che l’artista deve aver compiuto sulle liriche, che non troveranno eguali per profondità ed incisività nella sua opera successiva, e sulla propria voce unica e riconoscibile che assume una tonalità di baritono alto (ritoccata elettronicamente in studio in modo da renderla ambigua ed androgina) con lunghe scivolate nel falsetto. Hunky Dory è opera inquietante e drammatica, fluida e malinconica, che scuote anche quando tratta di cose comuni: ci si smarrisce insomma nelle profondità che improvvise si svelano ai nostri occhi e che l’artista domina con un raffinato mestiere, certo, ma soprattutto con la mente lucida e tagliente del genio. In Hunky Dory, Bowie guarda dove noi distogliamo il nostro sguardo, definisce dove noi sfumiamo, si getta nelle pozze d’ombra deridendo il mostro nascosto ed infine trova un linguaggio proprio unico, raro, rivela il suo cuore alieno, la sua mente esploratrice ed umanista, racconta una storia mai udita… In seguito David Bowie troverà nel suo lungo percorso artistico durato mezzo secolo tanti modi per raccontare la sua volubile sincerità, subito dopo questo disco indispensabile rilascerà un capolavoro, The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars peraltro anticipato in Life on Mars? brano incantevole dalla semantica sdrucciola.

David Bowie
Changes: il brano di apertura dell’album, pubblicato più tardi anche come singolo, col tempo è diventato il manifesto artistico di Bowie. Cambiamenti è dunque la parola chiave della sua vita e carriera e non mancano riflessioni amare sui propri insuccessi e sulla generazione dei suoi genitori che egli con rabbia accusa di pavidità nei confronti del futuro. L’artista inglese in questo brano suona anche un bel solo di sax e tradizione vuole che nel 2005 sia stato ritrovato il master originale del pezzo nel quale Bowie si accompagnava al pianoforte cantando un testo leggermente differente.
Oh! You Pretty Things: torna in questa canzone un tema già apparso nella poetica dell’artista, dove egli, prestando fede alla filosofia di Friedrich Nietzsche, immagina l’avvento imminente di un Uomo Superiore. Queste contaminazioni e altri sventati riferimenti al nazismo mai del tutto chiariti offuscheranno la sua immagine pubblica fino al 1976 anno in cui Bowie decide la ricostruzione della sua vita privata ed artistica abbandonando (almeno un po’) droghe e dissolutezze.
Eight Line Poem: una ballata molto delicata accompagnata al piano da Rick Wakeman, questo brano poco conosciuto di Hunky Dory, contiene un testo relativamente criptico in cui l’artista descrive una stanza di città ed un cactus che insieme al suo gatto guarda il mondo aldilà della finestra.
Life on Mars?: il brano divenne nel tempo un simbolo della poetica dell’artista ed un classico di quell’epoca. La grande intelligenza dell’interpretazione vocale, il talento di Mick Ronson che ne curò l’arrangiamento, la ricca orchestrazione che ricorda in taluni passaggi Così parlò Zarathustra, e l’immagine che Bowie volle interpretare nel video, capelli rossi, ombretto verde-blu e vestito elegantissimo di spiccato gusto glam, valsero il giudizio, tra i tanti, della BBC Radio 2 che lo definì “un incrocio tra un musical di Broadway e un quadro di Salvador Dalí“. Non è semplice interpretare il caleidoscopio d’immagini di Life on Mars? che si mescolano nel tubo catodico della protagonista che si rifugia in uno zapping ossessivo per sfuggire alla sua esistenza scarna e sostanzialmente priva di orizzonti. Bowie spiegherà, ma soltanto molti anni dopo: “Penso che si senta tradita, che sia delusa dalla realtà. Penso che, pur vivendo una realtà deprimente, sia convinta che in un luogo imprecisato c’è una vita che vale la pena di vivere (…) all’epoca provavo una sorta di empatia con lei”. Una piccola curiosità: all’epoca i testi delle canzoni non erano sempre disponibili (non c’era internet) e fummo in molti a scambiare il nome di Lennon, citato tra gli altri, per quello di Lenin, complice anche la pronuncia un po’ cockney dell’artista.
Kooks: dedicata al “Piccolo Z” Duncan Zowie Haywood Jones, il figlio nato dal matrimonio con Angie, è una canzone semplice, con un pianoforte quasi vaudeville, che vuole essere un augurio affettuoso di un padre al proprio piccolo. Bowie scrisse tra le note di Hunky Dory: “La canzone nacque un po’ come una cosa tipo ‘se rimani con noi diventerai uno svitato’“.
Quicksand: il brano è una splendida ballata acustica con ricche contaminazioni folk e classiche; la voce è conturbante e si piega mirabilmente al contenuto della narrazione, iperrealistico ed introverso, dove l’artista si trova a riflettere ancora una volta sulle proprie capacità rimaste ancora inespresse perdendosi tuttavia in un vortice di riferimenti a volte persino macabri che disorientano l’ascoltatore. La scrittura di Quicksand risente delle letture orientali di Bowie (Il Libro Tibetano dei Morti), delle sue passioni (l’occultismo), e delle sue infatuazioni filosofiche (la filosofia di Friedrich Nietzsche) e non mancano riferimenti a Churchill, Himmler e alla Golden Dawn. Mick Ronson anche questa volta interviene con la sua orchestrazione ad ammorbidire un po’ il materiale lirico.
“La paura è nella tua testa solo nella tua testa, quindi dimentica la tua testa e sarai libero”
Fill Your Heart è l’unico brano che non è stato composto da Bowie ma dai cantautori statunitensi Paul “Biff” Rose e Paul Williams: dal tono disteso e ottimista, contribuisce a dissolvere i vapori dell’angoscia scaturiti da altri brani del disco. Andamento da music hall con un bel sax suonato dal musicista di Brixton.
Come abbiamo detto molti sono i tributi alla cultura statunitense che Bowie inserisce in Hunky Dory e Andy Warhol è probabilmente il più vistoso: nel brano omonimo fa riferimento alla vasta produzione artistica del maestro americano che era riuscito a rappresentare con le varie forme della sua arte lo specchio oscuro del consumismo che corrode le nostre società e i nostri più intimi difetti ma senza cinismo e ovvietà. Begli esperimenti vocali.
Song for Bob Dylan: “Ascolta questa, Robert Zimmerman, ho scritto una canzone per te, su uno strano giovane di nome Dylan, con una voce come sabbia e colla“. Bowie si dice preoccupato per l’identità artistica del cantautore americano che sembra essere vittima di una deriva che lo porta lontano dalle radici della sua musica radicale e fortemente politicizzata. Altro importante tributo alla cultura americana composto in forma rock-folk.
Queen Bitch: nelle note di copertina di Hunky Dory leggiamo: “Un po’ di luce bianca dei Velvet Underground restituita con tante grazie“, ed infatti questo brano è un riconoscimento artistico che Bowie vuole fare al gruppo statunitense di Lou Reed e che rivela in qualche modo la direzione che l’artista intraprenderà nell’immediato futuro. Senza Rick Wakeman, Bowie costruisce un mèlange di spunti presi dal materiale dei V.U. e dalla poesia di strada di gergo omosessuale.
The Bewlay Brothers: definita “una delle più dense e impenetrabili incisioni di Bowie“, nel difficile testo sembra di intravedere una sorta di diario privato dei rapporti tra Bowie ed il fratellastro Terry Burns malato di schizofrenia. Immagine icona della sua infanzia, Terry influenzerà fortemente la sensibilità del giovane Bowie e nel brano tutto ciò si materializza in una bizzarra congerie di immagini sovrapposte, che negli anni ha dato vita a molte interpretazioni e l’artista non contribuirà a chiarire i dubbi dicendo solamente che ci sono: “strati di fantasmi al suo interno“.
…E così termina Hunky Dory lasciando ancora oggi un’eco profonda e commossa nella nostra anima.
Addio Mr. Bowie