
Claudio Rocchi | Volo Magico N.1 (1971)
Con il suo Volo Magico, Claudio Rocchi prende definitivamente slancio in un disco che schiva ogni banale classificazione, partendo da un'immersione spirituale e da un folk psichedelico e panteistico, capace di abbattere ogni confine musicale, geografico e religioso.
Il milanese Claudio Rocchi è stato uno dei solisti più fecondi dell’Italia del suo periodo, con una carriera che ha attraversato diversi generi risultando sfuggente ad ogni classificazione, anche se per comodità o per pigrizia finirà poi per essere spesso catalogato all’interno della vasta scena progressiva italiana. Dopo un breve passaggio negli Stormy Six, di cui è bassista e cantante nel primo album, Claudio Rocchi esordisce nel 1970 con Viaggio, un disco acustico e sognante difficile da immaginare nell’Italia coeva, ma che ne mette in luce le grandi doti comunicative grazie anche alla collaborazione con un giovane Max Pagani. Tuttavia, è un anno più tardi, col disco successivo, che Rocchi riesce finalmente a decollare, fondendo nel suo Volo magico n.1 la sua malinconica vena poetica con il suo atavico amore per le musiche orientali; una semplice fotografia di un muro con una porta, sulla quale è riportato il titolo ed il nome dell’artista, ci presentano questo secondo disco: si tratta, a ben pensare, di uno scatto semplice eppure assai rappresentativo dell’anima pura di Claudio Rocchi, umile esploratore di risposte ai misteri della vita, figlio di una cultura e di una sensibilità a cui abbiamo purtroppo da tempo smesso di abituarci, quella che non si fermava dinanzi alle porte chiuse ed i muri di pietra della società.

Claudio Rocchi
Volo magico n.1 si compone di sole quattro tracce, in cui oltre alle influenze peninsulari, vi è una componente hippy e bipolare che mescola il folk psichedelico al misticismo orientale: vi è qui, infatti, una ricerca interiore in corso, in cui i confini mentali sono soggetti a rigidi processi meditativi, con alcuni insegnamenti propri del Buddhismo che non mancano di emergere e avvolgere l’ascoltatore di pathos ed empatia. La formazione a sostegno di Rocchi include numerosi ospiti: Eugenio Pezza (tastiere), Alberto Camerini e Ricky Belloni (chitarre), Eno Bruce (basso, armonica), Lorenzo Vassallo (batteria) e Donatella Badi, Gigi Belloni, Michel Kanah e Gianfranco Lombardi ai cori. Grazie a questa folta schiera di musicisti, un’altra stranezza dell’album – che lo distingue dai modelli psichedelici del periodo – è la singolarità degli strumenti utilizzati: troviamo, infatti, oltre la tabla indiana ed i bonghi, anche piccoli frammenti di armonica che portano direttamente nella West Coast, nonchè una flebile sezione ritmica che viene rivestita di spiritualismo monastico, mentre solo l’uso delle tastiere ci tiene ancorati alla nostra italica penisola: tutti questi ingredienti diversi tendono ad alterare la strada fin troppo convenzionale del classico album psichedelico, portandolo ad un livello stratosferico ed apolide, probabilmente nello stesso siderale posto in cui la stessa Aria di Alan Sorrenti sarà costruita a pochi mesi di distanza, servendosi del prototipo del volo di Icaro del visionario cantastorie milanese.
Questo atipico folk si sradica subito da qualche parte tra il Gange e il Lambro nel Volo Magico n.1, che in 18 minuti decolla in un viaggio ascetico, un po’ come la straordinaria vita dello stesso Rocchi. Si comincia con l’abluzione della tabla che stabilisce un’atmosfera molto pulita e rilassata, per poi snodarsi in un lungo crescendo contemplativo presto condotto dalle chitarre psichedeliche di Ricky Belloni (futuro New Trolls) e di Alberto Camerini, unite al controcanto di Donatella Bardi e agli arpeggi del pianoforte, con i cori celesti che irradiano gran parte del tracciato di una accecante luce mistica. Forse è una traccia leggermente prolissa per un ascoltatore non abituato alle lunghe jam del genere, ma risulta comunque digeribile grazie ad alcuni morbidi innesti più legati alla tradizione folk, oltre alla complicità di un testo di spessore che riesce sempre a tenere alto il livello dell’attenzione.
La realtà non esiste, affascinante innodia panteistica, è un delicato brano acustico con il pianoforte che va a sottolineare, assieme alla voce, quanto la divinità risieda anche nel suo creato. Successivamente, nella più drammatica Giusto amore viene invece ordita una sinfonia più strutturata, seppur ancora delicata e romantica, in cui la musica viene decantata come una cosmica sorgente d’amore (“Chi dice che la musica non passa, al piano di sopra qualcuno sente e forse protesta. Ehi, è musica, è amore, signore, è amore, giusto amore quello che esce, nient’altro, capisci per favore“).
Sigilla il disco la soave Tutto quello che ho da dire, autentica gemma della musica italiana, in cui la voce di Rocchi si dissolve, infine, tra le note celesti del mellotron, dimostrando nel suo percorso una grande capacità di sintesi strumentale che pare perfino precorrere alcuni degli album futuri di Brian Eno.
Morto nel 2013 per una malattia degenerativa alle ossa, Claudio Rocchi è stato un personaggio autentico ed inarrestabile, un esemplare unico che ha lasciato il segno anche al di fuori dell’ambito musicale. E’ stato, infatti, un importante conduttore radiofonico in Italia (si ricordi, tra le altre, “Per voi giovani” su Radio 2) nonchè fondatore della prima radio indipendente nazionale nepalese (“The Himalayan Broadcasting Company”), poi regista (“Pedra Mendalza”), attore (“Musikanten”), poeta (“Le sorprese non amano annunciarsi: sono un gruppo rock di fanciulle, suonano nude e sono bellissime”), generoso attivista ed organizzatore culturale (“Festival del proletariato giovanile”). Nel 1979 con “Non ce n’è per nessuno” dà il suo momentaneo addio al rock per entrare negli Hare Krishna assieme all’amico Paolo Tofani (Area), accanto a lui nella realizzazione del disco: quando torna, la sua musica è diversa, seppur ugualmente potente e rivoluzionaria, a modo suo, come quando fa ascoltare il battito cardiaco di sua figlia nella pancia della madre ad un concerto di militanti comunisti a Ravenna. Innamorato dell’Oriente in maniera sincera quanto lo era stato, in quegli stessi anni, anche George Harrison, molto prima che questa infatuazione zen divenisse una moda occidentale, Rocchi è stato uno dei più grandi maestri di vita del progressive italiano, nonostante venga al giorno d’oggi troppo spesso ingiustamente dimenticato.