
Canaxis 5 | Technical Space Composer's Crew (1969)
Il bassista Holger Czukay alle prese con il suo primo, eclettico, album solista
La Repubblica Democratica Tedesca degli anni Sessanta era una bàlia asciutta e severa, per quei figli concepiti e generati negli istanti permeati dalle assurdità belliche. Figli che ereditarono un archetipo mostruoso e vorace. Un Leviatano dimorante negli abissi della gioventù, che nelle comuni e nelle lotte reazionarie sfuggiva la quotidiana oppressione. Alcuni appresero la lezione dei maestri, portando lo spirito sovversivo nelle arti: la scuola di Darmstadt fu in questo senso una delle fucine più autorevoli. in pieno sperimentalismo accademico, la Technical Space Composer’s Crew (dietro al cui nome si nasconde il bassista dei Can Holger Czukay) scoccò invece un dardo fatto di suoni che conficcatosi nel soma musicale germanico, pulsante di fervore, provocò l’eiezione di un siero iridescente; succhiato avidamente da quelli che ne avrebbero tratto scuotimento ed espansione dello spazio psichico.
Un colpo di drammatico lirismo accende “Canaxis 5”. una spinta capace di propagarsi come onda. Che sommessa, risuona. Proviene un lamento da molto lontano. Una nenia di donna; echeggiante nelle valli acquitrinose e verdeggianti, colme di allucinante frenesia. Altre voci, tenuemente sgraziate, protendono l’appiglio e come sirene delle palme, attraggono verso suoni di mistero. Tra le fronde dell’affabulazione, un varco appare con materia di sogno e si accede nel fitto umido e oscuro, popolato da creature informi, schive, dagli inauditi versi. Ma ecco che nell’affanno l’orecchio è ghermito dalla salmodia di un medium, diffusa dai vapori in cui esso si cela. Sottratto è ogni contorno all’habitat cosciente, ora invaso da stupore. La fascinazione del mondo latente è così compiuta.
“Canaxis 5”: una sovrastante suggestione di esotismo (ed esoterismo) in musica; sofisticata da un finale jazzato, che, in pieno stordimento, è lì a sugellare il tempo di immersione sonora di cui resta solo un lascito evanescente. Eppure indelebile nella memoria più profonda.