
Camel | Mirage (1974)
Musica ben fatta, molto scorrevole e piacevole con atmosfere delicate e favolistiche, non vuole essere impegnativa ma coerente e l’impegno degli artisti è tale da lanciare l’album nell’empireo delle opere indimenticabili della musica progressiva di tutti i tempi
I Camel suonarono per la prima volta con quel nome il 4 dicembre 1971, al Waltham Forest Technical College come gruppo di spalla dei Wishbone Ash. La line up era composta da Andy Latimer, vocalist e chitarristista di buone doti e con un solido background di studi di pianoforte, chitarra e composizione; Doug Ferguson, basso; Andy Ward, batterista già collaboratore di Marc Bolan dei T. Rex; Peter Bardens, tastierista di buona esperienza per aver collaborato con i Them di Van Morrison, con i Village, con gli Shotgun Express di Rod Stewart e Peter Green. Tutti bravi artisti, ma che non erano riusciti, nonostante le credenziali, ad avere successo nel panorama composito del British Blues, in auge nella seconda metà degli anni Sessanta e poi in rapido abbandono sul finire del decennio. Dare vita ad una nuova formazione costituirà per i Camel il tentativo di trovare una propria identità musicale ed artistica con cui ascendere al successo in un momento ricco delle novità introdotte dal progressive. Nell’agosto del 1972 i Camel firmarono un contratto con la MCA Records e pubblicarono il loro primo album che porta il loro nome e che fu un completo insuccesso, a tal punto che abbandonarono quella etichetta per passare con la blasonata Decca Records. Nel 1974 incisero il loro secondo album Mirage, che ottenne un discreto interesse sulla costa ovest degli USA, dove riuscirono a portare una tournée di tre mesi.
Mirage è un album più equilibrato e compiuto del precedente e contiene molte delle tematiche musicali peculiari della Scena di Canterbury: la band riesce a delineare meglio un proprio stile originale che si vede nitidamente soprattutto nelle due brevi suite Nimrodel e Lady Fantasy in cui i musicisti riescono ad emergere, ciascuno con le proprie doti, a creare belle immagini sonore di eccellente fattura. Il disco, negli anni, sarà ricordato anche per la copertina con il logo delle sigarette Camel che, tuttavia, attirerà loro anche molte polemiche, in particolar modo in America, dove uscirà con una grafica diversa almeno nel primo lancio. L’album contiene cinque tracce che traggono la loro ispirazione in gran parte dai racconti di Tolkien e, se non si può definire un concept album, tuttavia è opera compatta e i brani hanno forti correlazioni tra loro.
I Camel dovettero pagare il ritardo con cui si presentarono sulla scena internazionale e anche se riuscirono a farsi spazio tra le band e i musicisti di quel periodo grazie ad un sound-camel molto personale e alla grande professionalità e preparazione dei componenti, tuttavia, di fronte al declino del progressive non ebbero la prontezza di spirito (e la fortuna) di alcuni grandi gruppi, come gli Yes, i Genesis, i King Crimson, di immaginare indirizzi musicali nuovi e furono presto dimenticati dal grande pubblico (ma non dagli appassionati del genere).
Freefall: primo brano che cattura subito l’attenzione con un attacco progressive costituito da un singolo accordo in crescendo quindi duo basso/chitarra e si entra nel cuore della composizione che metterà in risalto l’Hammond e la chitarra elettrica. La parte vocale è piuttosto ridotta, composta da due sole strofe ripetute durante il brano da Bardens e dal significato incerto con riferimenti al mondo di Tolkien o ad una mistica non meglio definita. Grandi virtuosismi di Andy Latimer con un bell’assolo con derive hard di grande eleganza. Si torna al tema iniziale nelle fasi conclusive del brano.
Supertwister: attacco armonioso e delicato con una tastiera eccellente per un brano interamente strumentale che offre la possibilità a Latimer di giganteggiare con i flauti. L’ntensa tessitura ritmica di una ballata medievale apre alla chitarra ampi spazi per spunti tecnici di ottima qualità accompagnando il flauto. Finale divertente con strappo di linguetta da lattina di bibita gassata e versamento del liquido (birra?) nel bicchiere.
Once he wore grey, he fell and slipped away
From everybody’s sight.
The wizard of them all, came back from his fall
This time wearing white.
He has a certain air, as if he’s never there,
But somehow far away.
And though he seems afar, like a distant star.
His warm he can convey.
Nimrodel/The Procession/The White Rider: la prima delle due suite contenute nell’album è divisa in tre parti e s’ispira al Signore degli Anelli. Intro delicata e misteriosa con arpeggio di chitarra sapientemente attrezzata con flanger ed altri artifici tecnici cari a quell’epoca, che ci accompagna nel cuore di una giostra medievale con trombe e urla e confusione poi il silenzio per passare ad una sezione più riflessiva e malinconica, la parte principale della suite The White Rider con la voce armoniosa e piena di Latimer. Appena una strofa e il brano si movimenta sulle scansioni del sintetizzatore Moog di Bardens ed una ritmica più brillante per poi tornare di nuovo calmo, con piacevoli infiltrazioni psichedeliche ed il Moog che si avvicina pericolosamente ai 20 Hertz. Si va verso il finale a ritmo decisamente vivace sostenuto da un bel ride di Ward, suoni distorti e fuori controllo che si dissolvono nel sustain ad una sola nota che sfuma alla conclusione.
Earthrise: tanti virtuosismi e preziosità tecniche in questo secondo brano strumentale del disco. Si alternano fasi hard e sperimentali e parti più delicate e mistiche (di un panteismo del tutto particolare e a suo modo unico); gli strumenti si rincorrono negli assolo a volte sovrapponendosi in un’atmosfera molto Canterbury offrendo performances godibilissime. Le tastiere di Bardens tratteggiano riff sulle base frequenze che regalano tonalità esotiche all’insieme del brano e nella parte finale i musicisti riescono ad intrecciare varie linee melodiche tutte riconoscibili e filtrate con grande talento in fase di mixage (ma tutto il disco è molto curato anche sul piano tecnico).
Saw you riding on a moon cloud,
Saw you walking on a whirlpool,
From the corner of my eye,
I saw you.
Saw you sitting on a sunbeam,
In the middle of my daydream,
Oh my Lady Fantasy,
I love you.
Il brano finale, Lady Fantasy/Encounter/Smiles for You Lady Fantasy è la seconda suite dell’album, meglio strutturata della prima e più fantasiosa, non si fa fatica a considerarla il capolavoro della band, il sogno di una carriera. Lady Fantasy si basa soprattutto su rapide alternanze di atmosfere contemplative e rarefatte con altre ricche di grinta e rampanti. L’intro superba, piena di enfasi ed energia, lascia spazio ad una prima parte dal tono più delicato con un cantato convincente (forse poco romantico) e un ritmo sempre sostenuto; al principio basso e batteria suonano un po’ in sordina, svolgono bene il loro lavoro, ma senza strafare ma poi cambia il tempo, il ritmo si fa più elevato ed esplode la vitalità ed è un grande Ferguson a trascinare tutti. La chitarra insieme con l’organo, formano il proscenio della composizione, sono la vera armatura armonica dell’opera, e tuttavia, anche grazie al mixage di alta qualità, il sound è amalgamato alla perfezione e la ritmica non lavora mai in secondo piano, non ci sono mai passaggi banali o inutili. Da segnalare un pregevole assolo di Hammond di un Peter Bardens in polpe. Coda potente e piena di esprit nel finale torna il tema iniziale.
Mirage non è un capolavoro, soprattutto per un cantato non sempre all’altezza del livello espresso dai musicisti, ma la musica è ben fatta, molto scorrevole e piacevole con atmosfere delicate e favolistiche, non vuole essere impegnativa ma coerente e l’impegno degli artisti è tale da lanciare l’album nell’empireo delle opere indimenticabili della musica pregressiva di tutti i tempi.