
Bon Iver | Bon Iver, Bon Iver (2011)
Dal folk revival degli esordi ad un folk orchestrale con tratti pomposi e magniloquenti.
Cosa c’è di più bello di un caro amico che ci augura con sincerità, di superare un periodo difficile? Bon Iver (Buon inverno storpiato in francese) sembra dirci proprio questo; amante della montagna, della neve, dei climi freddi e della vita a contatto con la natura, conosce le difficoltà della montagna in inverno e sa bene quanto conti la vicinanza di un amico.
Justin Vernon (Bon Iver) è uno dei nuovi musicisti più interessanti degli ultimi anni. Originario del Wisconsin, inizia la sua carriera con i Roots Rock per poi abbandonarli ed intraprendere una carriera solista che gli porterà grandi soddisfazioni. Il suo primo album, For Emma, Forever Ago (2007), considerato il suo lavoro migliore, vanta una realizzazione estremamente originale che ricorda in parte quella di Mike Oldfield col suo secondo album Hergest Ridge. Se Mike Oldfield fuggiva dal successo che non sopportava in una enorme villa in campagna procuratagli dalla Virgin, Justin Vernon, ancora sconosciuto, cerca se stesso nella casa in montagna del padre e lì resta per quattro mesi in totale solitudine. Ecco alcuni suoi ricordi: “Molti credono che me ne sia andato nel casotto per bere sciroppo d’acero, uccidere animali, registrare un disco e salvarmi la vita. Ma la situazione non era così al limite. Insomma, non andavo a caccia di cervi! Una volta un orso si è rubato il mio stufato, è vero, ma avevo un computer portatile, il telefono, l’elettricità. Mio padre aveva appena fatto costruire il bagno. Qualche volta alzavo un po’ il gomito e andavo a dormire alle otto. Tutto qui”. Sfornato il suo primo album, riscosso un inaspettato successo, Bon Iver si dedica a vari progetti, pubblica un EP Blood Bank (2008) e nel 2011 pubblica il suo secondo cd che risulterà essere uno dei migliori album dell’anno. Se i primi due album sono da considerare un folk revival di notevole livello con Bon Iver, Bon Iver siamo di fronte ad una svolta non da tutti apprezzata. La musica si arricchisce di vari strumenti e diventa più complessa. Vi troviamo fiati, archi, una vera e propria orchestra con l’aggiunta di suoni elettronici. L’unico vero filo conduttore tra gli album è il flebile falsetto di Vernon. Se il primo album era un viaggio solitario dentro se stessi qui i brani sono dedicati ognuno ad una città diversa.
Si inizia con uno dei brani migliori, Perth, che ci introduce nelle nuove atmosfere orchestrali magniloquenti. Lo splendido finale solenne ed epico è quanto di più inaspettato ci si poteva attendere da Bon Iver.
Con Minnesota, WI c’è il primo vero utilizzo dell’elettronica che si alterna alle leggere note della chitarra acustica.
I delicati arpeggi di Holocene ci riportano al clima degli esordi e rappresentano una delle pagine più interessanti ed intimiste del disco.
Nella sua parte centrale l’album continua con atmosfere leggere ed eteree, Towers ricalca ancora gli esordi con un andamento folk-country, Michicant è dominata dai vocalizzi di Vernon con cenni di elettronica. Hinnon è segnata da un elettronica minimale con tratti psichedelici. Lisbon è un breve brano elettronico.
Dopo i risultati diventano più convenzionali. In Wash leggere note di piano con lievissimi accompagnamenti orchestrali la fanno da padrone insieme ai falsetti di Vernont. Calgary è il brano scelto come primo singolo, ed è il brano dove è maggiore la presenza della chitarra elettrica.
Beth/Rest è il brano più deludente, sembra quasi un intruso all’interno del cd. Nel complesso Bon Iver, Bon Iver è un album interessante di cui si consiglia l’acquisto e che dimostra che Bon Iver è un’artista da seguire con attenzione. Certamente l’album è caratterizzato da eccessivi alti e bassi che lo penalizzano nel giudizio finale e da una certa incertezza sulla strada che Vernon vorrebbe intraprendere. Gli “alti” (mi riferisco in particolare a Perth ed Holocene) sono comunque notevoli. Sembrerebbe una transizione verso nuovi lidi, non ci resta che attendere pazienti.