
Biglietto Per L'Inferno | Il Tempo Della Semina (1975)
Secondo album postumo per i Biglietto per L'Inferno
I buoni riscontri del primo Lp fanno immaginare un prosieguo di carriera roseo, ma tutto si interrompe rapidamente. Nel 1975 Eugenio Finardi si propone di produrre il loro secondo album, che è già in gran parte scritto; purtroppo la Trident Records fallisce, il progetto salta e i Biglietto per l’Inferno si dissolvono, nonostante l’album sia già stato registrato interamente. Questo scioglimento prematuro dà comunque buoni frutti, aprendo la strada alla lodevole carriera solista del tastierista Baffo Banfi, fervido sperimentatore della musica cosmica italiana (Galaxy My Dear del 1978 e Ma, dolce vita del 1979), mentre Canali fa parte prima di un gruppo Hare Krishna, poi – come detto – diventa monaco benedettino, nel 1994.

Il tempo della semina
Il tempo della semina sarebbe dovuto uscire nel 1975, ma viene accantonato per poi essere ripubblicato ben diciassette anni dopo, nel 1992, dalla meritoria Mellow Records, etichetta specializzata nel recupero e nella riscoperta del prog italiano. L’album è un prodotto tipico degli anni 70, con alcuni ottimi brani ma che ha perso buona parte della carica dell’esordio. La posizione di Canali qui si fa più marginale, i brani sono scritti insieme da tutti i musicisti e questo porta a un maggiore accostamento al prog italiano (o britannico) più tipico. Esempio calzante è l’ottima title track, dieci minuti altalenanti tra cambi di tempo, giri di basso, virtuosismi delle doppie tastiere, flauti e accelerazioni che rispettano tutti i canoni del progressive rock. “Mente sola – mente” tenta la carta della sperimentazione, ma si ferma a mero capriccio giovanile. “Viva lotta pensa” si allinea alla canzone politica anni 70 ma con ben definite sonorità prog; un brano breve e tra più semplici della loro carriera, che lancia un messaggio alternativo alla cultura politica di quegli anni, quello del “non allineamento” a idee precostituite e di “vivere, lottare e pensare” in modo autonomo.
“Solo ma vivo” è invece una leggera ballata tra prog e pop, con finale pomposo di mellotron. A chiudere, un brano che si ricollega ai dialoghi autobiografici del primo album: “La canzone del padre” racconta coraggiosamente la travagliata infanzia di Canali, tra difficoltà scolastiche (“Quei banchi di scuola che per anni ho scaldato, come si vive non me l’hanno insegnato”), ricordi di un padre violento (“Mi picchiava e gridava ubriaco ‘vorrei che tu non fossi mai nato’, questa sua frase ce l’ho ancora dentro”) e di una madre incapace di trasmettere fiducia (“Mi ritrovai solo con la mia rabbia a voler dimostrare che non ero un coniglio”). Tutti eventi che generano un senso di rabbia e di rancore, sia nei suoni, sia nei testi, sempre più duri (“Ti ho odiato padre perché non capivi che la mia vita non è un tuo programma, certo gli incassi son magri ed è colpa mia, avrei dovuto dare retta anche a voi e cantare come un cane ammaestrato”). Neanche il successo del figlio potrà contribuire a ripristinare un dialogo tra due generazioni divise da un muro insormontabile (“Oggi invece mi fai tanta pena però almeno tu hai una vita serena, e quando mi vedi godi a far lo spaccone, vedete mio figlio canta in televisione”).
Si conclude così la lunga seduta psicoanalitica in musica di Canali, con una riflessione che è al tempo stesso il canto del cigno per una delle formazioni più originali e aggressive del prog italiano. Oggi Canali vive come monaco eremita presso il convento di Minucciano, in provincia di Lucca.
Questo articolo è una parte della monografia pubblicata su Ondarock.