
Bardo Pond | Bufo Alvarius, Amen 29:15 (1995)
La post-psichedelia americana, i corrieri cosmici del post-rock, lo space rock degli anni novanta
I Bardo Pond nascono a Philadelphia dalla mente dei fratelli John e Michael Gibbons. Entrambi chitarristi, hanno il merito di avere creato una versione distorta, dura e grezza delle jam psichedeliche classiche. Con i loro droni elettrici e le loro cupe distorsioni ci portano in un lungo ed impervio viaggio fatto di paura, claustrofobia e luci appena velate. Eredi della psichedelia classica, questa viene miscelata (e quindi stravolta) al noise rock dei Sonic Youth e ai gruppi Shoegaze, con chiari riferimenti allo space rock e al krautrock.
Autori di svariati progetti, alcuni dei quali eccellenti, iniziano la loro carriera con questo Bufo Alvarius, Amen 29:15 che prende il nome da un rospo, le cui ghiandole cutanee producono sostanze allucinogene. Siamo di fronte ad un viaggio di ottanta minuti che ci porterà in spazi siderali, distorsioni temporali o magari nei paesaggi desertici dove vive il nostro rospo propiziatore del viaggio.
L’inizio è ai massimi livelli, Adhesive è quasi un manifesto per una nuova psichedelia, rivolta ai grandi maestri ma con evidenti contenuti space. I droni cosmici ripetuti sino alla fine ci danno solo un’idea di quello che sarà l’album.
Dopo le durissime distorsioni blues di Back Porch, arriviamo alla meno tesa On a Side Street dove una morbida chitarra (ricorda vagamente qualcosa dei Popol Vuh) viene oppressa da suoni cacofonici e venti elettrici.
Ancora ripetizioni ossessive col riff di Absence, sempre dilatato e distorto con la voce di Isobel Sollenberger appena accennata.
Il vero capolavoro arriva alla fine, quello che è davvero la summa delle intenzioni dei due fratelli Gibbons, Amen 29:15. Le inquietanti campane iniziali, i lievi rumori metallici che accompagnano una lenta chitarra distorta ed un basso apocalittico, le voci in lontananza, ci introducono in un viaggio di ventinove minuti che è degno dei grandi corrieri cosmici tedeschi. Noise, space, tempi dilatati al massimo, totale assenza di ritmo, atmosfere tra horror e incubi da spazio profondo, tutto questo si trova in questi ventinove minuti che segnano il rock degli anni novanta (e non solo).