
Balletto di Bronzo | YS (1972)
L'album della maturità del Balletto di Bronzo
Nella magmatica scena musicale italiana di allora, il 1972 è una stagione di consolidamento delle conquiste appena ottenute, in cui osare però diventa lecito.
Il Balletto di Bronzo seppe cogliere al meglio la richiesta di avanguardia nella nostra scena. Folgorati sulla via di Sirio 2222, disco d’esordio beat ma dalle matrici piuttosto dure e sporche, Nino Ajello e Giancarlo Stringa, chitarrista e batterista del gruppo, chiamano a suonare con loro Gianni Leone, giovanissimo e funambolico tastierista con esperienze nei Città Frontale (i futuri Osanna).
Il contatto avviene non senza isterismi. Marco Cecioni e Michele Cupaiolo, cantante e bassista, lasciano in disaccordo sul percorso da intraprendere, concertato proprio da Leone e Ajello sui sentieri già battuti dal nascente pop italiano.
I due forse non si rendevano conto di ciò che gli ex compagni stavano per partorire. Ys (Polydor, 1972) è disco coraggioso e rivoluzionario, di rottura con il proprio ingenuo passato e d’apertura verso la scena pop e la musica colta.
Concept album d’avanguardia ispirato da un racconto della mitologia celtica, l’ellepì è strutturato in cinque tempi, cinque diverse suite che narrano l’errante viaggio di un uomo sopravvissuto all’Apocalisse e destinato a raccontare agli uomini una verità ricevuta in dono da una voce sovrannaturale.
I testi cupi ed ermetici raccontano del dolore provato da costui nei suoi tre incontri, le parti centrali del disco, durante i quali non riesce a comunicare a nessuno il messaggio conferitogli; ma d’altronde essi servono quasi unicamente a poter dar sfogo ad uno strumento aggiunto, vale a dire la stessa voce di Leone, limpida seppur sofferente, dissonante nelle trame intessute con le proprie tastiere ed il costante tappeto di organo e Mellotron che accompagna tutto il viaggio di Ys.
Aperta da un coro ansiogeno, Introduzione soggioga l’orecchio con il clavicembalo ed i picchi raggiunti dall’acuta voce di Leone, per poi atterrire ed impressionare con una parte strumentale di sette minuti, dominata dall’incessante dialogo fra tastiere e batteria, sommerso nel finale dalla chitarra distorta di Ajello, bravo ad unire la sua forte vena rock blues ai sofisticati ritmi imposti da Stringa. I pattern ritmici, sincopati e in tempi dispari, ci assicurano sin da subito sulla forte vocazione progressiva del lavoro dei napoletani, non c’è spazio per il frivolo passato beat, la forma canzone è irrintracciabile.
In questo ricamo i temi di Mellotron ed organo sono la costante di un disco in perenne evoluzione, che non conosce cedimenti nei suoi trentasette minuti. In Primo Incontro si vive fra strofe malevoli, con un risoluto groove di basso accompagnato da una fascinosa Far Fisa e un tappeto di chitarra, e stacchi ed accelerazioni tipicamente progressive, spigolose ed incentrate sui ritmi ipnotizzanti imposti dalla batteria, sempre integrata dalle tastiere. L’assolo di Ajello avrebbe potuto benissimo trovare posto in A Gadda Da Vida, mentre la chiusura è dolce ed arpeggiata alla sei corde acustica.
Gli stacchi strumentali in tempi rigorosamente dispari contrastano la voce placida, ma sofferente, di Leone in Secondo Incontro, sapientemente combinati con un tema di chitarra pragmatico e violento, mentre si dà largo spazio alle trame jazz in Terzo Incontro, curioso esperimento dove stavolta la base è imperniata su un improvvisazione di basso eccezionale, nella quale ascoltiamo i prodromi del jazz-prog che sarà dei Perigeo. A chiudere la traccia, ancora temi e assoli di tastiera di immensa qualità, attinti da quella inesauribile fonte di ispirazione che fu Keith Emerson.
Ci si avvia all’Epilogo, ultima traccia che varrebbe da sola un disco intero. Il protagonista del viaggio ha incontrato solo corpi stesi al sole, braccia mortalmente incrociate e uomini avvolti dalle edere sul proprio cammino. I suoi possibili interlocutori sono tutti morti, e non c’è nessuno che può ascoltare il suo messaggio divino; neanche in punto di morte riuscirà a proferire parola, calando il sipario sulla propria specie nell’apocalittico mito di cui è protagonista.
Con queste premesse, Epilogo non può che essere l’opera magna di Ys, dove tutto il patrimonio musicale e artistico del Balletto di Bronzo può sfogarsi senza limiti. Tastiere e batteria aprono violentemente la traccia, seppur melodicamente, Leone è aggressivo alla voce al di sopra della spigolosa parte ritmica, mentre nel mezzo della canzone il basso di Vito Manzari incute terrore con il suo riff costruito su un intervallo di quinta diminuita (il diabolus in musica dei medievali). La chitarra di Ajello è messa tra parentesi, chiamata a doppiare le tastiere per dar maggiore inquietudine al suo pezzo, prima di sfumare nel misterioso ed oscuro finale.
Ys uscirà nell’estate del 1972 e porterà al gruppo un buon successo fra i circuiti del pop e della scena alternativa italiana, trovando ottime recensioni e gradimento anche all’estero. Sui quattro si catapultò l’attenzione non solo degli appassionati, ma anche della critica e degli organizzatori di festival: importanti furono le apparizioni al Davoli Pop di Reggio Emilia ed al Be-In di Napoli, dove il gruppo si affiatò ed amalgamò ancor di più.
Decisero liberamente di convivere in una cascina in campagna per la realizzazione del loro terzo disco, ma qualcosa andò storto. Personalismi, stili di vita non consoni alla lucidità e frizioni personali posero fine, nel ’73, alla breve storia di questo gruppo, che non lasciò eredità nel nostro panorama musicale.
Troppo complessi e perniciosi i sentieri tracciati dal gruppo per poter essere ripercorsi. Ad oggi, Ys resta un disco unico nel suo genere, forse non il più tecnico di tutto il prog italiano ma sicuramente fra i più evocativi ed affascinanti. Gianni Leone, negli anni ’90, ha ricomposto il gruppo in formazione a tre, muovendo l’ennesimo tributo al suo maestro ideale Keith Emerson, riarrangiando Ys unicamente sulle sue tastiere.
Formazione:
Gianni Leone: voce, tastiere, synth, Mellotron, organo, celeste, pianoforte, clavicembalo
Lino Ajello: chitarre
Vito Manzari: basso
Giancarlo Stringa: batteria, percussioni