
Area | Arbeit Macht Frei (1973)
"Musica di fusione di tipo internazionalista", un obiettivo che gli Area di Demetrio Stratos inseguiranno fino alla fine
Gli Area “International Popular Group”, come loro stessi si definivano, pubblicarono il loro primo disco per l’etichetta Cramps, Arbeit Macht Frei, nel 1973. Il titolo richiama il motto che i deportati potevano leggere una volta giunti all’entrata del campo di concentramento di Auschwitz, dove non sarebbero stati affatto “liberati” dal lavoro bensì torturati ed uccisi. Difficile immaginare un’ironia più macabra, qualcosa di più terribile.
In quegli anni l’Italia viveva un periodo di lotte operaie e studentesche ed il tema del lavoro era al centro di piazze incendiate dalla contestazione, le istituzioni erano sotto le pesanti accuse di avanguardie intellettuali che cercavano la cifra e la forma di una società nuova e soprattutto molti poveri giovani cadevano uccisi. Anni di piombo. Anni soprattutto di idee nuove e dirompenti. Il 1973, fu un anno importante anche per la scena musicale internazionale: uscirono molti dischi di rottura, capaci di scuotere, di suscitare emozioni forti, pietre miliari che rimangono ancora oggi immutate per carattere e generosità.
Demetrio Stratos, il leader carismatico del gruppo, ci aiuta a capire il progetto Area: ”…ognuno portava un’esperienza particolare… uno diverso dall’altro… si è cercato di fare una musica stile totale… Io vengo dalla Grecia, uno ha avuto esperienze di musica elettronica a Londra, due vengono dal jazz, uno dalla musica contemporanea… e cerchiamo di fondere… di avere un connubio tra dodecafonia magari e rock, fra rock e musica balcanica …e frutto di questa esperienza nasce un gruppo che si chiama Area…” (Saluzzo nell’estate del ’74).
E prosegue, sempre nella stessa intervista: “Noi dentro un circuito alternativo abbiamo cercato di dare un taglio con la tradizione, cercando di dare qualità alla musica… portando un discorso non del capitalismo… non un discorso alla Beatles o all’americana o all’inglese dove tutti i gruppi purtroppo sono dentro a questo tipo di ideologia. Abbiamo fatto dure battaglie facendo brani tipo “L’abbattimento della Zeppelin”… che non è altro che l’abbattimento dell’imperialismo musicale che ti propina sempre gli stessi pezzi, gli stessi gruppi, lo stesso tipo di musica di consumo e ci ha rotto i coglioni effettivamente, no..?” (Ibidem)
La line up di Arbeit Macht Frei è composta da Demetrio Stratos, voce, organo hammond, steel drum; Victor Edouard Busnello, sassofono, clarinetto basso; Giulio Capiozzo, percussioni; Yan Patrick Erard Djivas: basso elettrico, contrabbasso; Patrizio Fariselli, pianoforte, piano elettrico; Paolo Tofani, chitarra elettrica, EMS VCS3, flauto. L’architrave di quest’opera, tuttavia, è lui, Demetrio, allora ventisettenne studente di architettura, 7.000 Hz di estensione vocale, personaggio sensibile completamente immerso nel suo tempo, che tratta la sua voce come uno strumento musicale in una tessitura comunicativa di altissimo livello sostenuta dagli altri componenti del gruppo.
Demetrio Stratos svilupperà una tecnica vocale straordinaria che comprenderà l’uso di diplofonie e di armonici vocali ed era in grado di padroneggiare diplofonie, trifonie e quadrifonie (due, tre e quattro suoni emessi contemporaneamente con la voce) e lui stesso spiegherà il senso del suo impegno: “La voce – sostiene – è oggi nella musica un canale di trasmissione che non trasmette più nulla”; e ancora: “L’ipertrofia vocale occidentale ha reso il cantante moderno pressoché insensibile ai diversi aspetti della vocalità, isolandolo nel recinto di determinate strutture linguistiche”.
“Musica di fusione di tipo internazionalista“, un obiettivo che Stratos inseguirà fino alla fine facendo confluire negli Area quell’insieme unico di inflessioni culturali mediterranee e mediorientali che costituivano la sua formazione musicale.
Non è colpa mia se la tua realtà
Mi costringe a fare guerra all’omertà.
Forse così sapremo quello che vuol dire
Affogare nel sangue tutta l’umanità.
All’uscita di Arbeit Macht Frei ci si rende subito conto fin dalla copertina di avere tra le mani materiale fissile: statuine assemblate grottescamente, lucchetti, maschere metalliche… eppoi i testi, duri, ermetici scendono nel cuore con la forza di una locomotiva lanciata a tutta velocità…
Luglio, Agosto, Settembre (Nero), brano di apertura e più noto di tutto l’album si apre con un recitato in lingua araba (registrazione pirata in un museo del Cairo), segue Stratos a declamare versi duri con voce nitida e un po’ gutturale, accompagnato da un organo finchè non arrivano anche gli altri su un ritmo arabeggiante. Cambi repentini di ritmo, inserti free-form, sintonia e affiatamento, ci sono tutte le caratteristiche principali della loro musica… spiegava Stratos l’anno successivo, nel 1974 : “Il contenuto politico secondo me c’è anche senza che io dica: ‘Noi facciamo un pezzo per i compagni palestinesi…’. In radio non ci hanno mai trasmessi, chiaramente tutti avevano dei blocchi morali, si scandalizzavano perché abbiamo fatto un pezzo che si chiamava ‘Settembre Nero’. Non c’è bisogno oggi di spiegare questo tipo di musica: ci sono solo cinque musicisti che hanno una rabbia repressa perché hanno suonato per tanti anni quello che volevano i padroni”.
Arbeit Macht Frei, orientata al jazz, la title track del disco inizia con la batteria di Giulio Capiozzo, fresca, leggera, esibizionista per poi svilupparsi nel tessuto sonoro dell’Hammond su cui il sassofono di Busnello s’inerpica su scale pericolosamente verticali, in apnea negli “assolo”, si intravedono elusivi frammenti di geometrie crimsoniane, riff penetranti finchè non giunge la voce limpida e liberatoria di Stratos. Ci sono davvero troppe idee in questo brano..!!
Se un giorno vorrai
il tuo cervello
Tu farai quello che già sai:
sciogli i capelli, sali insieme a me,
Viaggia nel cielo tra luci di stelle,
Cavi d’acciaio che danzano muti,
Lascia partire il tuo ascensore.
Consapevolezza: incipit progressive, il brano sfocia in una preziosa sezione sperimentale di Fariselli montata su un arpeggio dalle tonalità arabe; prosegue mescolando rock e progressive, jazz e persino un po’ delle leccornie di Santana, con Stratos che disarticola completamente i versi, rompe tendini ed ossa, rendendo fisico il senso della ribellione contenuta nelle parole.
Le Labbra Del Tempo, la prima parte si sviluppa intorno ad una complessa e straordinaria melodia vocale che s’intreccia con il sassofono e ci accompagna verso la parte centrale del brano, una potente improvvisazione di stampo jazz con interventi strumentali sofisticati e bellissimi virtuosismi canori. La batteria sostiene il gioco con destrezza e si prosegue sempre più sperimentando e crescendo fino al ritorno della voce che raggiunge il climax nel potente “Io Ho…” finale pronunciato a tutta gola da Stratos.
240 Chilometri Da Smirne è un brano strumentale che prosegue sulla stessa falsariga del brano precedente ma questa volta il discorso si arricchisce di tonalità progressive più marcate con il sassofono in primo piano a tenere saldo un momento musicale di grande affiatamento e sensibilità.
Dicono tutti che è colpa mia
viaggiava nel cielo gonfiato dal vento
sembrava ubriaco di un grande potere
Un rumore d’acciaio lo ha fatto cadere
piombare nel fango senza più stile
Dicono tutti che è colpa mia
giocano tutti con il corpo sgonfiato
dal vento che è senza memoria
Dicono tutti che è colpa mia,
il vento mi ha detto che morirò.
L’abbattimento Dello Zeppelin, atmosfere livide e rarefatte, sfondi di un canto nervoso e preoccupante, virtuosismi fonetici estremi, dosi massicce di avanguardia e progressive… insomma l’album si chiude con una promessa importante per il futuro del gruppo. Ma anche con una precognizione: il 13 giugno 1979 Demetrio Stratos si spegnerà a New York per un’anemia aplastica a soli 34 anni. Ci lascia una testimonianza artistica di valore immenso.
Addio Demetrio.
Ancora una volta